6 ottobre 2008

Livore

Sono nella sala di attesa della divisione di medicina nucleare dell’ospedale, dove ho accompagnato una persona per una scintigrafia. Entra una famiglia di tre persone, di cui due, un uomo e una donna, accompagnano una signora obesa, su una sedia a rotelle, ma poi devono portare la sedia fuori, e la signora, che cammina, anche se con un po’ di fatica, raggiunge la sedia con le stampelle, imprecando per questo. Quello che sembra essere il marito, viene informato che tra l’iniezione e la scintigrafia, ci saranno due ore di attesa, e lui bestemmia a voce alta. La donna che l’accompagna va all’accettazione e le viene trattenuto l’originale di un documento in cinque copie. Viene nella sala d’attesa e informa la signora, che deve essere sottoposta all’esame, che la (e qui usa un epiteto irripetibile), ha trattenuto l’originale che, secondo lei, doveva servire per produrre una certificazione. Ieri sera, per un certo servizio di volontariato che faccio la domenica sera, ho dato le dimissioni, per i modi poco cortesi di un'infermiera, a causa di quella che lei sosteneva essere stata una mia negligenza. Poi, naturalmente, ci ho ripensato e questa mattina ho ritirato le dimissioni. In questo, però dissento un po’ da Gianpietro, quando si mostra più comprensivo di me verso la rabbia di chi pensa di avere subito un torto: per me nessuna situazione è tale da giustificare modi aggressivi verso il prossimo, nemmeno quando si ha ragione. Cristina

2 commenti:

Gianpietro ha detto...

“E se in certi momenti lasciano che rabbia e rancore esplodano di fronte all’indifferenza, o al menefreghismo, ne hanno ben d’onde.” Avendo usato questa espressione capisco il dissentire di Cristina e, in astratto, lo condivido. Occorrono tuttavia alcune precisazioni, dato che siamo ben lontani dal poter seguire il consiglio di Matteo: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” Mt 5, 37.
La prima è che tutta la mia analisi verte sul ruolo di chi si assume il compito di “proteggere” chi non è in grado di farlo da sé. Protezione esercitabile in vari modi e con diversa intensità e che, talvolta, pone di fronte al dilemma se passar sopra a soprusi, angherie o anche semplici noncuranze, oppure prendere posizione, facendo valere i diritti, che se ci riguardassero in prima persona, magari si potrebbe optare per un: “ma si, lasciamo perdere”. Quando, tuttavia, colpiscono una persona della quale ci sentiamo responsabili ci fa dire: “e se la prossima volta non ci sono io qui a difenderlo?”. Ecco che allora si accetta di mettere in gioco la propria immagine rischiando di apparire quelli che: “spaccano il capello in quattro”, o che: “non hanno niente di meglio da fare”, o che: “se lo potevano anche risparmiare tutto sto casino” e via dicendo. Se poi ci scappa anche un “perdincibaccolina” di troppo non me ne faccio scandalo. La volgarità gratuita o l’insulto, mai, ma alzare la voce e pretendere che vengano rispettati i diritti di chi non può farlo da solo, mi sembra un segnale di forte “motivazione”. Sono a conoscenza di diverse situazioni di questo tipo e ad una ho assistito personalmente. In una camera d’ospedale un infermiere si accingeva a praticare una terapia ad un disabile grave. Alla richiesta di chiarimenti avanzata dal familiare che assisteva il malato, venivano date risposte evasive: “sta scritto nella cartella quello che deve prendere”, “l’ha stabilito il medico, lei cosa vuole saperne”. Solo dopo la ferma pretesa di una verifica (l’infermiere non aveva la cartella medica con sé), questi tornava dalla guardiola dichiarando, con la massima indifferenza: “in effetti nell’ultimo controllo il medico ha cambiato la terapia, ma tanto non gli avrebbe fatto male”. Tu cosa avresti fatto pensando che il familiare aveva dovuto fare pressione per rimanere nella stanza per assistere alla somministrazione della terapia (di norma i parenti vengono fatti uscire)? Visibilmente scosso, mi ha chiesto se doveva tacere, mandare giù il rospo e ringraziare la buona sorte, oppure segnalare l’accaduto alla caposala. Ho detto che se ce ne fosse stato bisogno l’avrei sostenuta e così, in modo corretto, ma deciso ha fatto la segnalazione (solo a voce). Quello stesso pomeriggio l’infermiere è tornato nella camera ed ha apostrofato il familiare con queste parole: “era un suo diritto, ma se lo poteva anche risparmiare di fare la spiata.” Come vedi niente a che vedere con il quadretto che descrivi dove: ci si lamenta per dover cambiare di sedia, si bestemmia per aver ricevuto un’informazione (che suppongo di routine) e si insulta una persona che ha trattenuto un documento sul quale, probabilmente, c’era scritto “copia da trattenere”. Questa è solo “maleducazione” non “motivazione”. Gianpietro

Cristina ha detto...

Si, certo. Quella di cui parli tu è la "santa collera" che è anche di Dio. Niente a che vedere con il caso a cui mi riferivo. Cristina