Da
bimbo, alla domanda: “Cosa farai da
grande?” avrò indicato, come tanti, il gioco del momento, ma non ne
conservo memoria. Negli anni, le domande sono diventate: “Che studi vuoi fare?”, “Quale
lavoro cerchi?”, “Su cosa ti vuoi
impegnare?”, “Insieme a chi vuoi
vivere?”. Domande comuni, che ben ricordo, anche se a nessuna posso
associare una risposta basata su solidi convincimenti. Chi invece può giurare
di avere risposto in piena libertà, cosciente delle proprie certezze? E quanti
hanno portato a compimento la scelta iniziale? Chi volevo essere, chi sono
diventato: spesso, sogni diversi. A decidere, il più delle volte, è stata
la vita stessa con la sua insondabile casualità, fatta di percorsi obbligati,
più che di reali alternative. Se oggi mi ritengo frutto delle circostanze, è
dovuto all’essermi trovato in un certo posto, in un dato momento e non altrove,
o in un’altra condizione. Ho deciso quasi nulla, accettando di rimanere entro
binari che non avevo tracciato. Ad ogni incontro mi sono limitato a cogliere
quel tanto che bastava per sopravvivere. Ho dato valore alle cose solo dopo
averle possedute, prima non esistevano, e non m’importa sapere che presto le
perderò definitivamente. Da vecchio, nel vedermi dall’alto, quando sono
generoso mi giustifico, se sono obiettivo mi condanno, volendo mentire non
nutro rimpianti. “Quanti talenti hai da
spendere? E per quale fine?” questa sarebbe stata la domanda giusta, a
patto di avere una colonna alta sei metri sulla quale rimanere appollaiato a
riflettere per il resto dei giorni. Nessun biografo mi aiuterà a rileggere il
passato, meglio allora accettare che il nulla prosegua nell’opera di spegnimento
della memoria. Gianpietro