28 aprile 2012

Il Profeta

Kahlil Gibran "IL PROFETA" pubblicato nel 1923. Questo è il secondo e-book che propongo. Si tratta dell'opera principale dello scrittore/pittore libanese. Anch'esso è un testo breve, ma a differenza del libro di Bach è pervaso da una vena poetica la cui efficacia dipende tuttavia dalla bravura del traduttore. Molte edizioni hanno a fronte il testo in inglese, ma non quella che ho trovato sulla rete e che ho messo a disposizione con un apposito link. Il libro affronta 26 temi ad ognuno dei quali viene dedicato un breve capitolo. Si va dal più noto "... i vostri figli non sono vostri figli ... ", al tema della libertà, dell'amicizia, della bellezza, della preghiera ... Tanti spunti di riflessione, tante considerazioni che possiamo analizzare e approfondire.
"... ed io dico che la vita è davvero oscurità se non c'è slancio,
e ogni slancio è cieco se non c'è conoscenza,
e ogni conoscenza è vana se non c'è attività,
e ogni attività è vuota se non c'è amore;
e quando voi lavorate con amore instaurate un legame con voi stessi, con gli altri, e con Dio."
Gianpietro

24 aprile 2012

TRAVIAN

Sorpresi? Consideratelo un momento di evasione, la ricreazione di metà mattinata a scuola. Vuole anche essere un omaggio al gioco che mi ha consentito di conoscere e stringere amicizia con Maria Maddalena. Si chiama TRAVIAN (non ne conosco l’etimologia) ed è un videogioco di strategia militare per browser di tipo multiplayer approdato dalla Germania in Italia nel 2005. Niente a che vedere con le grafiche cruente della maggior parte dei giochi di guerra. Assomiglia molto ai fumetti di Asterix e prevede un impegno che si protrae per circa un anno prima di completare un server di gioco. Normalmente si gioca in squadre (alleanze) di 40/50 giocatori che contendono uno scacchiere a diverse altre migliaia di appassionati. L’immagine del post documenta il risultato finale, la costruzione della Meraviglia (obiettivo che ogni player vorrebbe raggiungere). Quello dell’immagine è l’ultimo che abbiamo giocato (e vinto) e porta anche le firme di Galla (Maria Maddalena) e di Taranis (Gianpietro). 
Lo ammetto, mi sono divertito vestendo talvolta i panni del saggio che dispensa consigli a giovani apprendisti. Ovviamente, per loro sarò stato solo un vecchio rimbambito, brontolone e sputasentenze. E’ un gioco che consente di interagire e, nel tempo, è possibile capire chi c’è dietro ai nickname. Gli stessi comportamenti di gioco, le reazioni alle strategie adottate, evidenziano in modo chiaro il trasferimento nel mondo virtuale di gran parte dei comportamenti adottati in quello reale. Nasce come passatempo, ma per qualcuno diventa una dipendenza (vero Laura?). Durante il gioco si diventa amici o nemici per la pelle, poi, quando finisce, qualcuno ti dà appuntamento ad un nuovo turno di gioco, come se fossimo i personaggi della canzone di Vasco: "... e poi ci troveremo come le star a bere del whisky al Roxi bar, o forse non ci incontreremo mai ognuno a rincorrere i suoi guai ...". Ma se si è fortunati ci si imbatte in persone eccezionali, come Maria Maddalena, appunto. Gianpietro

22 aprile 2012

Come si esce dalla via della crescita illimitata

“Quale che sia il vostro livello intellettuale o emotivo, capire di che cosa potete fare a meno è uno dei mezzi più efficaci per convincervi che siete liberi. […] Proviamo a rinunciare a qualcosa, non per abbellire la nostra vita, ma per ricordare a noi stessi quanto siamo attaccati a questo mondo moderno così com’è, e come potremmo tuttavia farne a meno.”(Illich e Cayley, La corruption du meilleur engendre le pire)
I teorici della decrescita sostengono da tempo che se la società dei consumi ha prodotto inizialmente benessere per molte persone, la sua crescita non sarà illimitata, come non saranno illimitate le risorse del pianeta, che ha continuato a utilizzare, senza alcun senso della misura. Paradossalmente, dall’arricchimento e dal benessere iniziale, si passerà all’impoverimento della maggior parte delle persone, provocando disperazione, miseria e suicidi. Chi è vissuto, finora, con il pensiero che questo destino sarebbe toccato alle generazioni successive oggi viene messo di fronte a questa tragica realtà dalla crisi mondiale, causata dai mercati finanziari, perché il fatto determinante e caratterizzante di questa società della crescita illimitata è che la vita dell’uomo non viene regolata da valori come la felicità, l’amicizia, la solidarietà, il bene comune, ma dall’economia. E’ sotto gli occhi di tutti che è l’economia oggi a orientare le nostre vite e a livello teorico questo era il pensiero sia del capitalismo, ma anche di Marx, che affermò il principio che è “l’economia che muove la storia”, mentre per i teorici della decrescita, come Latouche, Castoriadis, Ivan Illich, Nicholas Georgescu-Roegen, André Gorz, solo per citarne alcuni, le  nostre vite devono essere regolate da altro. Il primo presupposto per la decrescita è l’uscita dalla società dei consumi, ma perché questo non provochi frustrazione, deve essere un atto gioioso e libero. Occorre, allora, osservare come agisce la società dei consumi, per obbligarci a consumare sempre di più e quello che vuole.

Latouche indica tre pilastri del sistema consumistico che sono: la pubblicità, che crea il bisogno di consumare, il credito che fornisce i mezzi per consumare anche a chi non ne ha la possibilità immediata mediante l’indebitamento, l’obsolescenza programmata, che prevede il rinnovamento continuo del prodotto di consumo. La prima domanda che dobbiamo porci sarà dunque: è possibile far fronte in qualche modo all’assalto di questi tre pilastri? Per il credito, penso sia facile: basterebbe acquistare per contanti solo quello che è nelle nostre possibilità e tralasciare il resto. Non è facile restituire carte di credito e bancomat, perché le banche e tutto il sistema cercheranno di rendere la cosa difficile, ma basterà aprire il conto in una banca vicino a casa e scegliere un conto a costo zero per i prelievi. Più difficile evitare la pubblicità, che ormai agisce anche in modo subdolo, senza quasi che ce ne accorgiamo ed entra nelle nostre case, attraverso la televisione, interrompendo programmi, in continuazione. La pubblicità si può solo contrastare non acquistando, per esempio, i prodotti che maggiormente hanno invaso la nostra vita. Sulla obsolescenza programmata, invece, temo si possa fare poco: escono continuamente software che rendono i vari dispositivi obsoleti e bisogna cambiarli. L’unico rimedio, al momento, che ho potuto adottare è stato quello di acquistare un computer di una marca non conosciuta e poco pubblicizzata, che costava un terzo di quello di prima, con le stesse prestazioni e adeguato all’utilizzo che ne dovevo fare. Naturalmente, non è possibile esaurire un argomento tanto importante per la nostra vita personale e sociale con un solo post e vorrei scriverne altri, se ci sarà l’interesse a svilupparlo con i vostri commenti e le vostre esperienze personali. Cristina

15 aprile 2012

Odio e sofferenza


(pag. 44) … aveva giurato vendetta, era pronto a combattere contro lo stormo all’ultimo sangue, E così si accingeva a fabbricarsi il suo piccolo inferno privato … è chiaro che non ami la cattiveria e l’odio, questo no. Ma bisogna esercitarsi a discernere il vero gabbiano, a vedere la bontà che c’è in ognuno, e aiutarli a scoprirla da se stessi, in se stessi.

Non credo esista ostacolo più difficile da superare. Più ancora che giungere ad amare la sofferenza. Questa richiede infatti solo un rapporto con se stessi, nel quale gli altri o sono esclusi o sono anch’essi vittime. Ecco che allora si può elaborarla, comprenderla, accettarla, fino ad amarla per l’opportunità di rinascita interiore che sa offrire. Naturalmente c’è anche chi la legge solo come un nemico da odiare e da combattere e allora ne rimarrà vittima senza coglierne gli aspetti positivi. Amarla non significa ricercarla o non curarla, tutt’altro, ma poiché essa esiste da sempre e può colpire in qualunque momento noi e coloro con i quali ci relazioniamo, ecco che possiamo scegliere tra incolparne la natura (o la divinità), o servircene per compiere un passo avanti nel cammino dell’evoluzione.
Differente è il discorso quando ci poniamo a confronto con il male. In questo caso l’identificazione del male in chi lo compie è, il più delle volte, automatica. È tutt’altro che sottile la distinzione tra le espressioni: “è un criminale” ed “è una persona che ha commesso un crimine”. L’individuo, qualunque individuo, è più delle azioni che compie e finchè il male ci porterà a nutrire solo odio nei suoi confronti, resteremo invischiati del nostro “piccolo inferno privato”. Gianpietro
1994 carestia in Sudan. Il bambino avanza lentamente verso il campo profughi dell'ONU, distante oltre un chilometro, sotto lo sguardo interessato di un avvoltoio. Tre mesi dopo, il fotografo, Kevin Carter, ha vinto il premio Pulitzer grazie a questa immagine. La settimana successiva Carter si è suicidato. Nessuno conosce la sorte del bambino.

12 aprile 2012

Asserzione

(pag. 22) Scegliamo il nostro mondo successivo in base a ciò che apprendiamo in questo. Se non impari nulla, il mondo di poi sarà identico a quello di prima e avrai anche le stesse limitazioni che hai qui.
pag. 23) Il paradiso non è un luogo. Non si trova nello spazio e neanche nel tempo. Il paradiso è essere perfetti.


Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere(Ludwig Wittgenstein - Tractatus Logico-Philosophicus). Se applicassimo alla lettera la “asserzione” del pensatore austriaco avremmo un mondo certamente meno assordante, ma assai poco divertente. E’ pertanto sforzo vano parlare di ciò che non si conosce? Personalmente non credo, una volta riconosciuto e accettato il limite. Le espressioni tratte dal libro di R.Bach vanno quindi prese come ipotesi formulate per calmare l’ansia originata da domande che, diversamente, cadrebbero nel vuoto. Tra le tante teorie sul destino dell’individuo e sullo scopo della vita, annovero quella dell’evoluzione dello spirito (comunemente nota come reincarnazione o metempsicosi) tra le più suggestive e per certi versi “ragionevole”. Ovviamente, per reggere alla prova della ragione, ha alla base un consistente insieme di postulati di fede, e quindi per loro natura indimostrabili. Provo ad elencarne alcuni. Per ogni individuo esisterebbe un’anima (o spirito) immortale. Il corpo sarebbe solo uno strumento preso in prestito alla natura (l’uomo sarebbe stata una delle opzioni possibili, ma non è detto che uno scarafaggio non potesse funzionare ugualmente). Per una qualche ragione l’anima, che è perfetta, si nasconderebbe in un corpo (da lei scelto?) che le sta stretto, pieno di difetti, limitato nelle potenzialità, veramente primitivo nei principi, barbaro direi, e decisamente duro di comprendonio. Il gioco si chiama ritornare al Padre, o espiare un peccato originale (?), o riscoprire la perla, più genericamente, evoluzione. Una specie di gioco dell’oca; in ciascuna casella ci sono le esperienze, gli ostacoli, gli stimoli, gli esempi, degli aiutini, gli studi, gli incontri, le sofferenze, più raramente le gioie, le cadute (se proprio si è zucconi i rimandi al via) e le risalite, a volte perfino i miracoli. Ad ogni progressione dell’anima corrisponderebbe una regressione del corpo. Anima e corpo sono impegnati in una lotta dove il bisogno morale si realizza solo con l’annullamento dei bisogni materiali. I cardini sui quali la natura ha plasmato l’uomo (la difesa, la sopravvivenza, il dominio) diventano i primi nemici dell’anima (Francesco che si spoglia era già sulla buona strada). Se, su queste basi, qualcuno pensa che con la morte fisica tutto sia compiuto, gli do il benvenuto nella lotteria dei 6 numeri su 90 ed una sola giocata a disposizione. E se anche c’è chi dura di più e chi finisce prima, chi vive in salute e chi in malattia, chi dispone degli strumenti e chi nemmeno li conosce, chi si impegna per aiutare e chi per sottomettere, ebbene tutto questo occupa lo spazio, insignificante, di un “amen”. Quali scale utilizzare allora? 1, 100, 1.000, 1.000.000 giri di giostra per ogni anima? e ripetuti per quante anime? E su quanti piani spaziali o temporali? E se il corpo servisse solo per la sgrossatura iniziale (diciamo i primi lanci del dado) e poi il gioco continuasse su dimensioni inimmaginabili? Tante individualità o, in proiezione, la fusione in un’unica amalgama (tante lingue di un’unica fiamma)? E dove si pone l’eternità? E l’infinito? Chi misura il risultato? Chi dice: “così può bastare”?
….
Il paradiso è essere perfetti. Se lo fossi, credo che me ne accorgerei. Ma così non è, non ancora, almeno. Gianpietro

11 aprile 2012

Il rapporto con il corpo

Nel servizio che svolgiamo presso persone che sono ammalate o anziane, ma anche nella vita di ogni giorno, osserviamo, sempre più spesso, come il corpo assuma una rilevanza straordinaria, al punto da dimenticare che esso non è più importante di ciò che si svolge al suo interno o dell’anima di chi lo abita. Ce ne accorgiamo quando, parlando di qualcuno, lo definiamo "il non vedente" o "il claudicante" o "il sordo", assimilando la persona alla sua malattia o a una caratteristica del suo corpo, come quando diciamo "la biondina" o "la mora". Scrive Roberto Assagioli, psichiatra: “Avere un atteggiamento corretto verso il corpo significa assegnargli il giusto posto nella coscienza. Quasi tutti si sentono tutt’uno con esso, si appropriano delle sue condizioni e sensazioni, affermando cose tipo: “Io ho fame, ho sete, io sono stanco”, e faticano o addirittura non riescono a concepire un’esistenza separata, indipendente dal proprio corpo. E’, questo, un materialismo vissuto da cui occorre liberarsi.” Il primo passo per liberarsi da questa identificazione con il corpo è riconoscere che esso è uno strumento prezioso, che va tenuto curato, pulito e ordinato, ma è come una abitazione, che non può essere più importante di chi la abita. Andando a trovare un amico, apprezzeremo il buon gusto con cui avrà arredato la casa, ma anche se gli manca qualcosa o un po’ di muffa rovinerà le pareti, non cambieremo la buona opinione che abbiamo di lui o questo rovinerà la nostra amicizia. E se la casa è la nostra, non ci faremo un problema se incomincia a invecchiare o se qualche elettrodomestico è diventato un po’ obsoleto. E per fare un altro paragone che renda l’idea, non ci interesserà il legno, pregiato o no, di cui è fatta la libreria di casa, perché ben più importanti sono i libri che essa contiene. Cristina

10 aprile 2012

Sulla educazione

Volevo fare alcune considerazioni personali, da non addetta ai lavori, come si usa dire oggi, sui diversi metodi educativi, precisando, comunque, che una vera educazione non può essere ristretta nell’ambito di una categoria soltanto, ma ha, lo stesso, delle caratteristiche salienti, di cui occorre tenere conto. A suo tempo, i miei genitori hanno scelto per me una educazione umanistica. I limiti che ho potuto riscontrare in questo tipo di educazione è che questa sia troppo radicata nel passato, per cui, una volta uscita dalla scuola, mi sono sentita a disagio nel mondo del lavoro, non conoscendo bene la tecnologia, il calcolo e una seconda lingua, della quale avevo studiato soltanto la letteratura antica. Venivo presa in giro dalle colleghe, che, avendo fatto le scuole tecniche, sapevano scrivere a macchina velocemente e senza guardare i tasti, e quando il capo ufficio mi vedeva alla macchina da scrivere, rideva e raccomandava ironico di chiudere le finestre, perché la velocità con cui scrivevo faceva volare i fogli. Per fortuna, dopo qualche anno, venne introdotto il personal computer e con quello ebbi la mia rivincita, perché mi appassionai subito alla novità e questo mi cambiò la vita. Ma anche l’educazione tecnica aveva i suoi limiti, perché era in funzione soltanto di una capacità produttiva e di scopi materiali, perdendo di vista l’uomo e la sua complessità. Quale educazione allora devono dare i genitori? Parlare di una educazione di tipo spirituale genera sempre fraintendimenti, perché la si assimila a una educazione religiosa, di tipo confessionale, mentre invece non è così. Una corretta educazione spirituale aiuta il giovane a uscire dall’ambito ristretto del suo io e della sua razionalità e a sviluppare la compassione e la solidarietà, a ridimensionare la tecnica al ruolo di strumento e non di fine e a rinnovare e contestualizzare i valori antichi di una educazione umanistica, rendendoli appetibili e adeguati al tempo in cui vive. I giovani devono conoscere i problemi che affliggono l’umanità ai nostri giorni e vanno portati nei luoghi del disagio, dai quali oggi vengono tenuti lontano: a frequentare le mense dei poveri, gli ospedali, le case della carità e i campi di lavoro che nel sud vengono allestiti, per dare una opportunità ai giovani e tenerli lontano dalla criminalità organizzata. Solo così i giovani possono apprendere che per i mali e la sofferenza del mondo ci può essere rimedio nella cooperazione e nella solidarietà degli altri uomini. A volte i genitori, lamentandosi semplicemente di come va il mondo, producono solo negatività, limitandosi all’aspetto rivendicativo e perdendo di vista quello costruttivo. E così, nel volontariato, raramente mi capita di vedere giovani: il servizio viene rimandato al tempo in cui si è  liberi dal lavoro, quando non è per niente necessario dedicare molto tempo, perché anche un semplice lavoro, restando in casa, può essere di aiuto per gli altri. Bisognerebbe anche insegnare ai giovani la concentrazione, attraverso la meditazione, o la preghiera, o la ginnastica yoga. Sbagliano, a mio avviso, i genitori che dividono i figli in potenziali credenti e non, perché tutti hanno bisogno della concentrazione, che deriva da momenti di raccoglimento e  non importa tanto quale attività essi desiderino di più praticare in quei momenti, basta che sia adatta ad operare un distacco dalla mente e questo lo può fare anche la semplice lettura di una poesia: la poesia non necessità di comprensione, può essere letta o recitata come un mantra e con senso di abbandono. Ma l’educazione più bella, che possono dare i genitori ai figli, è l’esempio: rinunciando alla autocommiserazione, per vedere la bellezza nella vita di ogni giorno, anche in una vita semplice e frugale, lontano dai consumi e dalle mete che la società moderna impone a tutti e che producono soltanto una felicità falsa e illusoria. Cristina

7 aprile 2012

Omologazione

(pag. 5) “Perché non devi essere un gabbiano come gli altri?”
(pag. 6) “Non scordarti, figliolo, che si vola per mangiare.”
(pag. 8) “Lascia perdere queste stupidaggini … accontentati di quello che sei.”

Cos’altro ci insegnano? Famiglia, scuola, società, ci spingono verso l’omologazione. Fai come fanno gli altri. Se vuoi il successo, il benessere, la considerazione, il potere (cos’altro esiste?)… adeguati, striscia, corrompi, calpesta … Non farti domande, tutto ti è lecito se nessuno ti scopre, ed anche in quel caso nega sempre. Non c’è spazio per i sognatori, non è questo il loro tempo. Disponi di una sola vita e sai che sarà breve. Arraffa fin che puoi, quello che puoi. Solo i fessi si pongono domande, intanto che gli altri godono. La spudoratezza viene eletta a ragion d’essere ed il sentimento della vergogna è cancellato dai dizionari. A squallide marionette, votate a meschini tornaconti, sono demandate le sorti di intere nazioni nel più generale disinteresse e senso di impotenza. Ricordatevi di HannaH Arendt “La banalità del male”: si fa l’abitudine anche al male assoluto. Il giorno nel quale faremo la fine della “rana bollita” ci ricorderemo, se ne avremo il tempo, della prima volta che abbiamo pensato: “Beh, in fin dei conti, che male c’è, e poi lo fanno tutti.” Gianpietro

1 aprile 2012

Lo Stormo

(pag. 4) "E fu data la voce allo Stormo."

Lo Stormo attende la voce della propria guida per dar inizio ad una nuova giornata, che di nuovo non ha proprio nulla, un susseguirsi di voli noiosi alla continua ricerca di cibo. Lo Stormo segue una guida. La mediocrità dello Stormo è dovuta alla guida che si è scelta e che per qualche ragione vuole mantenere lo stormo "ancorato a terra"? Oppure è lo Stormo che si è scelto una guida che lo rappresenta nella sua mediocrità? Se la voce che guida lo Stormo fosse quella di Jonathan le giornate dei gabbiani avrebbero ben altro profilo. Maria Maddalena