28 settembre 2013

La signora I.

La signora I. ha 91 anni e per questo è quella che le cartelle cliniche definirebbero grande anziana, ma, parlando con lei, ci si dimentica presto dell’età, perché la sua compagnia è fresca e piacevole come quella di una ragazza. Dopo un’esperienza decennale nel servizio di volontariato, avevo deciso di scegliere una via a me più congeniale, per condividere, senza orari né troppo impegno, quella gentilezza e accoglienza che le tutor di Emmaus e dell’Hospice mi avevano insegnato. E così, mi sono messa in paziente attesa delle persone, che la vita avrebbe prima o poi messo sul mio cammino, a cui dedicare il tempo che un lavoro impegnativo e un compagno amorevolmente esigente mi avrebbero lasciato. Non ho dovuto attendere a lungo, perché nel cercare un lavoro per la signora che mi aveva aiutato nell’assistere mia madre, ho conosciuto la signora I. amica della collega di una mia amica. Quali mirabili connessioni – direbbe Trine – ci legano e fanno apparire il mondo molto più armonioso e amico di quello che non ci appare, se limitiamo la nostra percezione a quello che chi ci governa e ci opprime vuole farci avere, spaventandoci, per poterci meglio dominare. Ma tornando al caso che vi voglio raccontare, oggi pomeriggio, sono andata al colloquio di lavoro insieme alla signora che desideravo collocare e che, dopo la morte di mia madre, era rimasta senza lavoro. La signora I. è rimasta molto soddisfatta, ma aimè deve aver pensato che io facessi parte dell’offerta e in men che non si dica mi sono ritrovata a lasciarle il mio numero di telefono, impietosita dal fatto che mi avesse detto che le avrebbe fatto molto piacere che qualche volta fossi andata anch’io a tenerle un po’ di compagnia e che, ogni tanto, l’avessi accompagnata anche a messa. Così, in un colpo solo, la signora I. ha trovato un aiuto domestico, la cara persona che ha assistito mia madre ha trovato un lavoro, e io una nuova occupazione come volontaria freelance. Cristina

27 settembre 2013

Autunno

Ogni cambiamento di stagione mi piace perché mi sembra che inauguri un periodo nuovo della vita. In particolare l’autunno invita alla riflessione, dopo gli svaghi dell’estate, che è una stagione in cui si vive per lo più all’aria aperta e non c’è tanto tempo per i pensieri. A dire il vero, per me, quest’anno, non c’è stato tempo per i pensieri, non tanto a causa degli svaghi, ma perché mia madre se n’è dolcemente andata, come era del resto suo desiderio da tempo, essendo ormai sazia della vita e carica di anni. Tra le decisioni da prendere, adesso, c’è naturalmente quella che riguarda il volontariato. Dopo l’esperienza positiva che ho fatto in famiglia, con l’assistenza domiciliare, che oggi è diventata indispensabile per la sanità pubblica, per ridurre i costi troppo elevati delle strutture ospedaliere, penso che questa potrebbe essere una bella opportunità per le famiglie di accogliere in casa i familiari anziani o malati e assisterli personalmente, o con l’aiuto di qualche risorsa esterna. Occorre quindi imparare di nuovo questo stile di vita che un tempo era comune, ma che adesso non lo è più. In questo, sia Emmaus sia l’Hospice sono stati per me una buona scuola. Penso che tali però debbano restare, perché per lavorare in una organizzazione occorre essere meno anarchici di quello che sono e che sono sempre stata. Per cominciare però e per capire in che cosa consiste il servizio, che si deve svolgere in una famiglia o accanto a un malato, penso sia indispensabile ricevere una buona formazione teorica e anche pratica e in questo i dodici anni che ho fatto con queste organizzazioni sono stati preziosi e di grande aiuto. Poi però io credo che occorra acquisire la capacità di trovare da soli la persona o la famiglia, perché le relazioni che si istaurano anche per servizio devono essere una scelta libera e reciproca. Ho avuto occasione di parlare di questo, recentemente, con un’amica, che è anche la volontaria con cui ho diviso per alcuni anni un servizio presso una signora invalida. Da questa persona andavo ormai da dieci anni e una volta che ricevette la visita di una conoscente mi sussurrò all’orecchio di non dire che ero una volontaria, ma un’amica. Sul momento sorrisi, perché per me, dopo tanti anni, non c’era distinzione, perché se non mi fossi trovata bene e non avessi ritenuto la sua compagnia piacevole, come quella di un’amica, certamente sarei rimasta a casa prima. Però, comprendo adesso che il messaggio che passa è quello del servizio caritatevole e del quale ci si vergogna anche un po’ e che se si avessero i mezzi probabilmente si assumerebbe una persona di servizio e del volontario a quel punto non ci sarebbe più bisogno. Ma non è così che a mio avviso va inteso questo servizio. E me lo ha confermato l’amica con cui mi sono trovata perché a lei una signora, che aveva fatto la richiesta, aveva addirittura specificato di andare al mercoledì e alla domenica, quando non c’era la badante. E’ evidente che il volontario non può assumersi un simile impegno, ma soprattutto la relazione che si vuole instaurare con la persona dovrebbe essere alla pari e solo così può essere piacevole e utile per entrambi. Come qualcuno aveva detto, quando ho fatto la formazione, il volontario è la persona che fa entrare in una casa la vita normale di relazione, perché quando uno è malato finisce per essere circondato solo da personale infermieristico, medico o sanitario, che non fa che ricordare a quella persona la sua malattia, quando invece la malattia è solo una parte di quell’unico molto più complesso che è l’uomo. Cristina