10 ottobre 2013

La ricerca del bene

La ricerca del bene è uno dei temi trattati nel corso dell'intervista concessa da Papa Francesco ad Eugenio Scalfari, giornalista di Repubblica (vedi questo link).
Sostiene il Papa: “La questione, per chi non crede in Dio, sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.” Sono rimasto molto perplesso nel vedere convalidati i comportamenti delle persone (e per estensione dei popoli) sulla base della sola "percezione del bene". Così facendo: l'ignoranza, le tradizioni, le sottoculture, le superstizioni, le suggestioni, gli indottrinamenti, le innumerevoli forme di auto-convincimento, sia a livello individuale, che di gruppo (dalle più piccole sette, ai più importanti movimenti politici, religiosi, etnici) consentono di collocare un individuo tra i “buoni” solo che egli si ritenga in buona fede e “percepisca” il proprio agire “come bene”. Temo che in questo modo sia possibile giustificare ogni obbrobrio! È lecito supporre che il Papa intendesse giustificare chi non si è ancora incamminato lungo il percorso tracciato da Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6) e quindi, nel limbo di questa attesa, gli vada riconosciuta un'attenuante: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34)? Su questo punto mi sento tuttavia di condividere l’opinione di Scalfari: “In un regime di libertà e di democrazia convivono diverse visioni del bene comune, che si confrontano e si scontrano tra loro. Chi ottiene la maggioranza dei consensi e quindi l'egemonia, cerca di realizzare la sua visione del bene comune.” E alla domanda, di rinforzo: “Santità, esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?” il Papa risponde: “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”.
Mi domando allora se anche il kamikaze che si fa saltare tra i banchi di una scuola elementare, o quelli di un mercato rionale, andrebbe incitato a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene. Di fronte all'insistenza del giornalista: “Santità, lei aveva detto che la coscienza è autonoma e ognuno deve obbedire alla propria coscienza” il Papa non ha tentennamenti: "E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo". 
A questo punto non ho altro da aggiungere. Gianpietro

6 ottobre 2013

sconvolgente banalità rivoluzionaria

Ho raccolto, sotto l’etichetta LINKS UTLILI; una parte di quanto pubblicato sul dialogo intercorso tra il Papa ed Eugenio Scalfari. Cliccando sulla voce “Papa Francesco” si apre un file pdf che contiene:
- La lettera di Papa Francesco
- La risposta di Eugenio Scalfari
- Il testo del loro incontro intervista
- I commenti di Hans Kung e di Vito Mancuso
Sono 18 pagine ricche di spunti di riflessione che credo meritino un’attenta lettura, perché ciò che in esse il Papa dice è, a mio avviso, di una “sconvolgente banalità rivoluzionaria”.
Sconvolgente - perché, anche se si tratta di parole inserite in un contesto privato ed informale, lontano quindi dalle comunicazioni fatte ex-cathedra, credo vada loro attribuita importanza pari a quella di una enciclica, resa tuttavia comprensibile alla maggior parte dei lettori, essendo priva degli orpelli e dei detto e non detto del linguaggio ufficiale.
Banalità – perché, in prevalenza, si tratta di affermazioni che il sentire comune riconosce come base fondativa della dottrina di Cristo. Ovvie come lo può essere la ricerca del bene ed il rifiuto del male, ma, al contempo, lontane dalla realtà come lo è il catechismo insegnato ai ragazzi, rispetto a quello praticato dagli adulti.
Rivoluzionaria - perché se quegli impegni venissero effettivamente applicati, se la Chiesa accettasse di seguire l'insegnamento di Papa Francesco, ci troveremmo ad uno sconvolgimento delle consuetudini e della pratica ecclesiale e temporale la cui portata non riesco nemmeno ad immaginare.
Per natura, non sono facile all’ottimismo e credo che, anche ammessa la sincerità e la buona fede di Papa Francesco, tali e tanti saranno gli ostacoli che incontrerà il suo pontificato, da far svuotare di significato gran parte di quanto ha promesso. Egli stesso mette le mani avanti ricordando i “profondi cambiamenti e compromessi” che il santo, suo omonimo, dovette a suo tempo accettare per vedere riconosciute dalla gerarchia e dal papa le regole del suo ordine. Tentativo velleitario? A giudicare dalla portata delle sue affermazioni (e sempre che non si voglia continuare a giocare con il loro significato) sembrerebbe di si. Ma oggi è lui, il Papa, a proporle, non un frate straccione: e se non ci prova lui e ora, chi altri e quando? Gianpietro

4 ottobre 2013

Una tragedia grande come il mare

La tragedia di Lampedusa, grande come il mare, nel quale è accaduta, mi ha fatto pensare alle tante persone, profughi o no, che vivono una vita tormentata dalla paura. E’ successo ai nostri genitori o nonni, che hanno vissuto il periodo della guerra, e non hanno più potuto dimenticare le incursioni, le perquisizioni e i bombardamenti. Ma c’è ancora tanta gente, al mondo, che vive in questo stato costante di terrore e non c’è bisogno di leggerlo sui giornali, quando scoppia la tragedia, perché, spesso, questa gente è molto più vicina di quello che noi pensiamo. Mi ero accorta, da tempo, che quando entravo in casa o in una stanza, dove lei era di spalle, la signora moldava, che da tanti anni viene in casa nostra, il giovedì, per aiutarci a fare le pulizie, sobbalzava e ci guardava con gli occhi spaventati per la paura. E’ una donna strana, che a me non ha mai ispirato troppa simpatia, e con mia madre aveva sempre da discutere e da litigare e minacciava sempre di andarsene. I motivi erano sempre piuttosto futili e tutti sul metodo di lavoro. L’una pensava che si dovesse spazzare prima di spolverare, l’altra l’esatto contrario. L’una pensava fosse meglio pulire una stanza alla volta, l’altra tutta la casa insieme. Fatto sta che con gli anni è invecchiata ed è diventata sempre più lenta, e tutte le volte che era ora di cena, dovevamo restare lì ad aspettare che lei finisse, perché non c’era una sedia su cui sedersi e la casa ancora sottosopra. Ma tutte le volte che minacciava di andarsene, mia madre, impietosita, la pregava di restare, e che facesse come credeva lei, perché a noi, le diceva, non importava. Questo anche perché, per il suo brutto carattere, veniva sempre licenziata dovunque andasse e certamente non avremmo potuto privarla anche di questo unico e stabile sostegno che era il magro stipendio che ha sempre preso da noi. Ieri sera, quando sono tornata a casa, le ho chiesto se fosse stata lei ad aver portato i fiori che avevo trovato sulla tomba di mia madre al cimitero. E così, mi ha confessato che lei va ogni tanto e su quella tomba piange tutte le sue lacrime. Non piange solo per mia madre, con la quale vorrebbe ancora litigare, ma anche per lei stessa e per la sua vita disgraziata. Le ho chiesto, allora, perché resti in Italia e se non ha una famiglia da cui tornare, soprattutto adesso che è anziana. Mi ha risposto, allora, che ha dovuto scappare, perché là ha un marito, che ha promesso di ucciderla e per di più sta occupando la sua casa, per cui non saprebbe nemmeno più dove andare. Era nata in un villaggio in cui la madre era l’unica levatrice e per lavoro doveva spesso assentarsi, anche per più giorni, fino a quando il bambino della partoriente, in travaglio, non fosse nato.
Quando era bambina, piangeva, per questa lontananza dalla madre e allora il padre, un perito meccanico, che curava la manutenzione dei trattori, la portava con sé in campagna, dove lei era felice e tornava a sorridere dall'alto del trattore, guardando il volo degli uccelli e inebriandosi del profumo dei fiori, delle piante, dell’erba e dei campi. Aveva deciso, così, che da grande lì avrebbe voluto lavorare e vivere per sempre. Terminata la scuola, che aveva frequentato per dieci anni, aveva trovato un impiego in una grande azienda agricola, con centoventi dipendenti, dove il suo lavoro era quello di organizzare la manodopera dei braccianti, secondo il lavoro che c’era da fare. L’altro suo sogno era quello di costruire una casa e in questo progetto i genitori l’avevano aiutata e incoraggiata, all'inizio, dicendole che una casa era il bene materiale più prezioso, perché dava la sicurezza di non dover dipendere da nessuno. Nel frattempo, però, aveva sposato un uomo violento, che la riempiva di botte e senza una ragione. Quando picchiava più forte, lei andava a denunciarlo, ma dopo l’interrogatorio della polizia, quello, arrabbiato, picchiava ancora più forte. Subì trent’anni di violenze e sevizie inenarrabili, crescendo i figli e lavorando, per costruire questa casa. Ma quando la casa fu finalmente terminata, il marito, armato di una spranga di legno, l’aveva picchiata, fino a ridurla a una maschera di sangue, per potersene impadronire. Lei svenne e quando riprese conoscenza scappò, così, tutta piena di sangue, scalza e mezzo svestita, rifugiandosi in un canneto, lungo la strada, non appena vedeva qualcuno, perché si vergognava. Raggiunse, così, la casa della figlia, che l’aiutò a fuggire in Italia e a raccogliere i soldi, tremila dollari, necessari. La mamma levatrice è morta due anni fa, e l’intero paese ha riempito le strade per andare al funerale, tanti erano quelli che in sessant'anni di lavoro aveva fatto nascere, ma lei nemmeno al funerale della madre è potuta andare, perché il marito continua a dire a tutti che se la incontra, questa volta, l’ammazza davvero. E’ una storia triste, ma la compassione non basta e penso proprio che dovrò aiutarla a cercare un secondo lavoro, oltre a quello che le posso ancora offrire io, anche se di questi tempi non so davvero come. Ma porterò nel cuore il ricordo di quella bambina allegra, che dall’alto del trattore guardava il volo degli uccelli e si riempiva del profumo dei fiori dei campi, e so già che quando si hanno pensieri positivi, come questi, alla fine, c’è sempre qualche santo in cielo o sulla terra che ci aiuta. Cristina

2 ottobre 2013

Care memorie

La signora alla quale tengo, ogni tanto, un po’ di compagnia, come tutti gli anziani, ama ricordare di più le cose passate di quelle più recenti. Di queste, poi, non ricorda le delusioni o il male eventualmente vissuto o ricevuto, ma solo le cose belle e le ricorda con nostalgia, perché quelli erano gli anni della giovinezza, anni preziosi, che non torneranno mai più. Era nata nel 1922 in un paesino della provincia reggiana e aveva conosciuto il futuro marito a una gita domenicale in Val d’Enza. Il padre, appreso di questo innamorato, si era precipitato in città da un conoscente, per prendere informazioni, e il caso aveva voluto che il conoscente fosse lo zio del giovane, che lo aveva assicurato sulla sua serietà ed educazione. Era un giovane di buona famiglia, che aveva studiato a Parma, in un collegio privato, il Maria Luigia, famoso per il suo rigore. Al secondo anno di università, aveva però dovuto lasciare gli studi, per cercare un impiego, perché la famiglia, in seguito a un dissesto finanziario, aveva perso tutti i suoi beni. Così, quando fece la domanda di matrimonio, chiese alla futura moglie di venire a vivere insieme con la sua famiglia, della quale lui era l’unico sostegno. La giovane accettò e per quindici anni visse in casa con gli suoceri, un tipo di convivenza che in quegli anni difficili era molto comune, ma che adesso sarebbe impensabile, perché accade proprio l’esatto contrario e cioè che nei momenti di crisi quel filo sottile e fragile che tiene insieme le famiglie si spezza del tutto. Il marito lasciò presto il suo lavoro in banca per un altro, più vicino a casa, nella pubblica amministrazione, e qui studiò per migliorare la sua posizione, fino a conseguire un ambito posto di dirigente. La moglie ricorda gli anni in cui lo aiutava negli studi, standogli vicino, e seguendolo, per i concorsi, nella capitale. Sono ricordi allegri, che parlano d’amore, ma soprattutto di quel tipo di vita insieme, di cui adesso abbiamo solo un pallido ricordo, forse, dalla vita dei nostri genitori, in cui si stava davvero insieme, nel bene e nel male, mentre adesso, spesso anche a ragione, con maggior facilità ci si separa. Cristina