31 marzo 2009

Il corso quotidiano dell'esistenza

In Ritratto di un amico”, che fa parte di una raccolta di saggi che si intitola “Le piccole virtù”, Natalia Ginzburg parla della tragica morte di Cesare Pavese. “Noi stessi suoi amici, lui ci diceva, non avevamo più segreti per lui e lo annoiavamo infinitamente; e noi, mortificati d’annoiarlo, non riuscivamo a dirgli che vedevamo bene dove sbagliava: nel non volersi piegare ad amare il corso quotidiano dell’esistenza, che procede uniforme, e apparentemente senza segreti”. La coordinatrice dei volontari dell’hospice mi telefona, chiedendomi di passare a prendere alcuni quotidiani per un anziano degente della casa. Quando entro nella stanza, per consegnare i giornali, trovo il malato seduto a letto che fuma. E’ un uomo molto bello: con un grande naso aquilino e una folta criniera di capelli brizzolati che gli cadono un po’ sulla fronte. Mentre riordino la stanza, mi dice che la conversazione con i volontari è per lui la migliore delle medicine. Mi parla della sua vita di tutti i giorni, che lui dice felice, perché ha l'essenziale: l’amore e la solidarietà. Dice che vive da solo, essendo vedovo da molti anni, e dalla figlia, genero e nipoti, che ama tutti teneramente, va solo la domenica, perché è giusto che i giovani vivano la loro vita. La mattina si alza e fa colazione, poi parte per una lunga passeggiata di molti chilometri: gli piace molto camminare, perché lo ritempra nel fisico e nello spirito. Tornando a casa, passa dall’edicola a prendere i giornali, che legge in poltrona dopo il pranzo. Spesso, finisce con l’assopirsi, cullato da una nenia, che la signora del piano di sopra canta, allattando il bambino che ha avuto da pochi giorni. A metà pomeriggio, scende per curare l’orto, dove coltiva ortaggi e frutta per tutti i condomini, aiutato spesso dai bambini del vicinato, ai quali è molto affezionato, al punto che loro lo chiamano nonno. Penso a queste due vite, apparentemente così diverse: quella dello scrittore suicida e quella di questo uomo che sta morendo di cancro. Io non credo però che la vita dell’uno sia sempre stata piena di noia e la vita dell’altro sempre felice. Penso piuttosto che questi due sentimenti così contrastanti, la noia e la gioia di vivere, si alternino costantemente, nell’esistenza di ognuno: ci sono momenti, più o meno lunghi, in cui anche la vita più interessante ci viene a noia, e ci sono momenti in cui amiamo la semplicità della nostra vita ordinaria, e siamo felici per il solo fatto di esistere. Cristina

il post è inserito nel circuito del "book-club" avendo come riferimento il saggio di Naatalia Ginzburg "Ritratto di un amico". Nella colonna di sinistra del blog alla voce "links utili" ho impostato il collegamento alla versione del brano (in formato .pdf) che potete, sia leggere direttamente sul vostro PC, che stampare.

29 marzo 2009

Conflitto interiore

Sto leggendo in questi giorni "Le quattro casalinghe di Tokyo" di Natsuo Kirino. Probabilmente, non avrei nemmeno saputo di questo libro, se non fosse stato scelto, come libro del mese, da un gruppo di lettura web, al quale ho aderito recentemente. Il pregio di questo libro è quello di portare il lettore là, nei luoghi dove la scrittrice ha collocato la sua storia e di fargli vivere le emozioni dei personaggi. A me ha ricordato il conflitto di sentimenti che una volontaria ci raccontava aver vissuto nella sua famiglia, fin dall'infanzia, con una madre inferma, che soffriva anche di depressione. Le protagoniste di questo romanzo sono operaie in una fabbrica di confezionamento del cibo e fanno un lavoro notturno, durissimo, ma ben pagato. Alla fine del loro turno di lavoro, tornano a casa dove le aspettano mariti violenti, figlie capricciose ed egocentriche, suocere inferme da curare, nel totale disinteresse del resto della famiglia. Non sono solita chiosare i libri, nemmeno quando sono miei, ma in questo non ho potuto fare a meno di scrivere a margine giudizi, commenti ed epiteti riferiti ai personaggi negativi. Mi ha totalmente catturato la vicenda di Yoshie, la più anziana delle quattro, la più forte e abile sul lavoro, al punto che le altre la chiamano, un po' ironicamente, "maestra". Yoshie è vedova e vive con la figlia Michi adolescente e la suocera, che da alcuni anni non si alza dal letto, per le conseguenze di una paralisi. "Yoshie aveva dimenticato il modo odioso in cui l'aveva trattata nei primi tempi del suo matrimonio. Ora era soltanto una povera vecchia indifesa che non sarebbe riuscita a sopravvivere senza il suo aiuto. Senza di me non ce la farebbe. Questo pensiero era una ragione di vita per Yoshie (...) Non voleva riconoscere che nessuno era disposto ad aiutare lei, non avrebbe potuto sopportarlo (...) in tal modo aveva finito col fare della fatica la regola suprema della propria vita". La suocera, nei primi tempi della sua malattia, era diventata mansueta e gentile, per necessità, poi però era tornato a prevalere il suo vero carattere dispostico ed egocentrico ed aveva ripreso a maltrattare la nuora e ad essere sempre più esigente e ad accusarla di fare apposta a ripondere così lentamente alle sue richieste. "Ti sbagli", rispose Yoshie provando per un attimo la tentazione di ucciderla. Che si pigliasse pure il raffreddore. Che bello sarebbe stato se si fosse presa una polmonite e fosse morta. Ma come al solito Yoshie la zelante soffocò subito i propri sentimenti. Che orrore! Augurare la morte a uno che ha bisogno di aiuto". Cristina

26 marzo 2009

Un bisogno insopprimibile di debolezza

Negli ultimi tempi ho riletto l’opera e la vita di Natalia Ginzburg, una delle mie scrittrici preferite. Ho trovato molto interessante e attuale quello che dice della sua esperienza politica. Nel 1983 venne eletta in Parlamento, dove rimase per due legislature, ma come era prevedibile, per chi la conosceva bene, fu una delusione. Nella biografia di Maja Pflug, si dice che quello che lei auspicava era “un governo aereo, leggero, inconsistente e invisibile, un governo debole”. Ma in realtà nella vita pubblica “c’è rumore, sopraffazioni … menzogne di ogni specie” e, per la debolezza, per “un governo senza armi, fondato unicamente su alcuni beni che sono cari allo spirito, come la giustizia, la verità, la libertà” non c’è posto nella politica rumorosa e sanguinaria … “e noi abbiamo invece un bisogno insopprimibile di debolezza. Ho avuto il privilegio di conoscere, per aver frequentato le sue conferenze, una persona che ha fatto invece della sua debolezza un punto di forza, essendo impegnato nella cooperazione internazionale, ma con gravi problemi di deambulazione fin dalla nascita. In una missione in Israele, fu costretto a seguire gli altri su una sedia a rotelle, perché camminando con il bastone avrebbe rallentato la visita e fatto aspettare i suoi accompagnatori: ebbene, disse che ebbe forte la percezione che proprio da questa posizione di svantaggio, le sue parole venissero ascoltate con più attenzione. Anche la nostra attività di volontariato racchiude in sé l’atteggiamento politico, perché non può che rapportarsi e dialogare con le istituzioni, e la missione dell’incontro con la debolezza dell’altro. Per questo, dovremmo sempre tenere in mente anche le parole di Padre Christian Chessel, della chiesa di Algeria, che diceva che “accettare la nostra impotenza e la nostra povertà radicale è un invito, un forte appello a creare con gli altri dei rapporti di non-potenza; riconoscendo la mia debolezza, riesco ad accettare quella degli altri e a considerarla come un appello a 'portarla', a farla mia. Un tale atteggiamento ci trasforma e ci invita a rinunciare ad ogni pretesa nell’incontro con l’altro e ad andare a lui senza paura delle sue debolezze fisiche, morali o spirituali. Il mio sguardo sull’altro cambia e non cerco di imporgli niente. Quest’atteggiamento c’invita a non temere l’incontro con l’altro o con un avvenimento, anche 'forte', ma ad andare a lui nella forza della debolezza.” Cristina

24 marzo 2009

Chiamati al servizio

Penso sia soprattutto per l’età che avanza, ma da un po’ di tempo sento molto la curiosità di conoscere e capire il mondo dei giovani e in particolare le motivazioni e il percorso interiore di quelli che entrano adesso nel mondo del volontariato. Ieri sera, ho assistito per caso ad una parte di un percorso formativo dedicato ai giovani dai 25 ai 35 anni, organizzato dalle associazioni di volontariato Effatà e Rabbunì. I partecipanti erano tanti e mi è piaciuto vedere tanti giovani tutti insieme: ne conoscevo qualcuno e ho fatto domande. Mi è sembrato di capire che, almeno per alcuni, il servizio fosse il punto di arrivo di un percorso interiore anche non facile e un po’ tormentato. E’ stato molto interessante anche l’incontro a cui ho assistito: il tema era “Chiamati al servizio”. L’ispirazione era chiaramente evangelica e faceva riferimento alla chiamata, come grazia che Dio opera nel cuore nell’uomo, per cui la figura del ‘servo’ non si collega all’agire, al fare, ma all’essere di una persona: è l’atteggiamento di chi si lascia aprire il cuore da Dio, plasmare e conformare, per cui il servizio non diventa un’iniziativa dell’uomo, ma la conseguenza di un atteggiamento di fede e di obbedienza. E questa considerazione rende inevitabilmente sbagliata ogni scelta del servizio per altri motivi, come auto gloriarsi o emergere sugli altri o per interesse personale. Io non penso si possa fare una distinzione tra i volontari credenti e laici: per tutti, la scelta del volontariato è parte di un percorso interiore profondo, ma credo che a tutti noi sia sempre richiesta una grande vigilanza sulle nostre motivazioni, perché il rischio di fare del volontariato un trampolino di lancio per una propria affermazione personale esiste sempre. Cristina

21 marzo 2009

Il nostro pensiero

Le nostre relazioni con gli ammalati che seguiamo sono talvolta rese un po' difficili dalla ricerca di un equilibrio tra la sincerità del rapporto, che vorremmo instaurare con loro, e la prudenza che viene richiesta in situazioni familiari complesse, con le quali non desideriamo interferire. Anche nelle nostre associazioni, non vorremmo mai essere quelli che portano problemi e così spesso preferiamo tacere anche quando ci troviamo in una situazione di disagio. In una raccolta di saggi che si intitola "Vita immaginaria" Natalia Ginzburg scrive: "... in questa nostra vita italiana, tutti passiamo il tempo a farci dei sorrisi, dei convenevoli, e non diciamo mai il nostro pensiero". Nel corso di una riunione straordinaria, per la presentazione di un nuovo dirigente, nell'azienda in cui lavoro, il presidente incominciò ad elogiarne le grandi qualità, contrapponendole alla scarsa opinione che, a suo dire, aveva suscitato il predecessore. Il dirigente che se ne era andato era una persona che io stimavo molto e di fronte a questa diffamazione molto ingiusta mi mostrai indignata che si parlasse di lui in questo modo. Allora, il presidente, sorridendo, mi disse che se le cose stavano così, doveva ammettere che eravamo in due a stimare il dirigente uscente, perché anche lui ne conosceva il valore. Rimasi sconcertata per come si potessero esprimere due opinioni così diverse, nel corso dello stesso intervento. Questo tema della sincerità e della capacità di sapere esprimere sempre il nostro pensiero, mi sta molto a cuore, perché sono consapevole che spesso è davvero difficile; mi piacerebbe che affrontassimo una discussione su questo argomento per conoscere anche la vostra esperienza. Cristina