7 marzo 2010

La cassetta degli attrezzi

Se hai letto il post che precede questo (Cronologico vs Tematico), dimenticalo. Cancellalo dalla memoria e se lo hai messo nella "cassetta degli attrezzi", vedi di liberartene il più rapidamente possibile. Ho fatto la mia prima intervista ed è stata una rivoluzione copernicana. Mi verrebbe voglia di dire: fermate il mondo che voglio scendere. Nel post avevo parlato di “peccato di presunzione”: non ho avuto il tempo di commetterlo. Verrò rimproverato di non aver saputo gestire la situazione, ma il primo contatto, che nelle intenzioni doveva essere di sola presentazione, si è concluso con 90 minuti di registrazione e 11 cartelle di sbobinatura. Stimolatori? al più sacchetti di sabbia per arginare il flusso! Scelta dei temi? vari livelli di approfondimento? Ma quando mai! Probabilmente ho fallito l’approccio, ma ne sono ugualmente contento. Non è la mia storia che devo scrivere e allora perché imbrigliare il costante fluire dei suoi ricordi? Se al prossimo incontro vedrò che tenderà a ripetersi (oggi non lo ha fatto, quasi mai) cercherò di indirizzarlo. Nel riascoltare la registrazione, le poche volte che la mia voce si sovrapponeva alla sua mi procurava un moto di fastidio. Avrei voluto dirmi: “Ma non vedi che sei di troppo, che ti stai intromettendo nella sua storia? Lascia le briglia sciolte. Cavoli tuoi, dopo, riorganizzare il tutto, ma ora taci e ascolta.” E la tua “confessione” come è andata? Gianpietro

3 marzo 2010

Cronologico vs Tematico

Istintivamente, tra i due metodi suggeriti per la conduzione dell'intervista, sarei orientato a scegliere il secondo, quello tematico. Esso è sicuramente il più intrigante, ma anche il più difficile da gestire, sia perché non conosco in partenza quali possono essere stati i temi che hanno impregnato di senso l’esistenza del mio intervistato, sia per la obiettiva difficoltà ad incasellarli entro le rigide griglie temporali già definite. Metodo cronologico, allora? Non so. Mi piacerebbe deciderlo solo cinque minuti dopo avere appoggiato sul tavolo la bottiglia di Sangiovese, ed avere ascoltato con lo sguardo il racconto dei mobili e delle suppellettili. Ma Savino dice che dobbiamo scegliere adesso e quindi, senza dover ricorrere al lancio della moneta, ho deciso che cercherò di organizzare il lavoro leggendo i tempi dell’esistenza in base ai “punti di svolta”, alle “figure cruciali, ai maestri”. In questo modo conto di aiutare l'intervistato a ripercorrere il cammino della vita attraverso l’evolversi nel tempo dei suoi aspetti più significativi. Il mio peccato di presunzione sarà quello di attribuire una scala di significatività, forzatamente soggettiva, anche se mi riserverò uno spazio sufficiente per inglobare una sua, eventuale, richiesta per un tema da me non considerato. Metodo tematico quindi e questo potrebbe esserne il "canovaccio".

In avvio parleremo di famiglia, poichè mi sembra il tema più semplice ed immediato. Analizzeremo le relazioni familiari così come si sono sviluppate nel tempo; quali i legami più significativi e perché; quali le problematiche di relazione; quali i sogni realizzati e quelli ancora nel cassetto. Tratteremo poi il tema del lavoro, la sua progressione fino al momento attuale; quali i momenti di svolta, le scelte fatte e le occasioni perdute, le relazioni instaurate dentro e fuori gli ambienti di lavoro. Questo nel primo incontro.

Il secondo verrà dedicato all’imparare ed al tempo libero. Entreremo nel campo della cultura, degli hobbies, dei giochi e delle passioni sportive. La musica, la letteratura, la poesia, il teatro, il cinema, l’arte, le collezioni, i viaggi … serviranno da spunto per fare riaffiorare i ricordi e suscitare emozioni.

Nel terzo incontro, il più importante, vedrò di condurre l’intervistato sul terreno degli affetti. Partirò dall’amicizia, da come questo sentimento è evoluto negli anni, passando dai giochi dell’infanzia ai legami “per la vita” dell’adolescenza; dal cameratismo del periodo di guerra (e qui potrebbe aprirsi un filone incontrollabile – il mio intervistato è del 1922), alle relazioni con i vicino di casa ed i compagni di svago (bar, vacanza, stadio …) fino ad esaminare cosa è rimasto nel momento attuale. In parallelo (sarà difficile scindere temporalmente i due momenti) analizzeremo il tema dell’amore valutando quali e quante siano state le chiavi di lettura e di applicazione pratica di questo sentimento. Più che una scansione cronologica delle situazioni affettive, punterò ad una analisi introspettiva del tema. Dalla sua dimensione minima, fino alla sua espressione massima (dalla natura, agli animali; dalle singole persone, all’umanità nel suo insieme; dal sé, all’oltre il sé). Sarà, probabilmente, una chiacchierata molto a ruota libera, ma che recupererò e renderò organica in sede di stesura del testo.

Il quarto incontro sarà riservato ad approfondimenti degli aspetti trascurati nelle precedenti occasioni e ad inserire nuove tematiche proposte (se con valide motivazioni) dall’intervistato. Se ci sarà spazio (tempo e volontà), mi piacerebbe affrontare i temi della dimensione spirituale (metafisica in senso lato) e di quella sociale (politica, anch’essa intesa in senso lato). Su questi ultimi due temi credo che sarà gioco lasciare all’intervistato ampia discrezionalità di indirizzo. Mi immagino infatti una trattazione ricca di componenti filosofiche dalle quali emerga il "filo rosso" che, nel corso della sua esistenza, ha intrecciato entrambi i percorsi.

Credo che il metodo tematico, tra le diverse tipologie di scrittura, favorisca l’esplorazione interiore dando così forma ad una scrittura biografica di tipo katagocico e questo risultato mi vedrebbe soddisfatto.

Questo è quanto, e che Duccio me la mandi buona! Gianpietro

26 febbraio 2010

Raccogliere una storia

Sere fa, al corso sulla "Locanda della memoria", ho colto questa espressione: "raccogliere la storia di un anziano" e, istintivamente, l'ho associata ad una immagine di precarietà e di instabilità. Analogamente, l'immagine dell'anziano, che, con disinvoltura, classifichiamo nella fascia di coloro che sono "a rischio esclusione", provoca in me profonda tristezza e disorientamento. Mi viene allora da pensare a quanto c'è di vero nell'affermazione che "l'umanità è sopravvalutata" (e non certo nell'accezione attribuita dallo squilibrato che l'adotta come alibi per compiere una strage dentro una scuola), se basta un nulla (nel fluire dell'universo) per trasformare una esistenza attiva in un relitto bisognoso di essere rimorchiato. Gli anni scorrono, i congiunti ci lasciano e, senza occupazione, la vecchiaia è fatta di tante attese tra un vuoto ed il successivo. La società si accorge di te solo per spostarti di una casella nello stilare le proprie statistiche. Non più popolazione attiva, ma soggetto a rischio esclusione. E se vorrai sopravvivere a te stesso hai bisogno di qualcuno che "raccolga" la storia che ti stai lasciando alle spalle. Spera allora di averlo già fatto, di essere stato capace di scriverla da solo quella storia, perchè non è detto che troverai una penna pronta a farlo al tuo posto, nè una voce che ne legga alcuni brani davanti alla tua bara. Gianpietro

21 febbraio 2010

Diritti e doveri

Quando ho accettato di scrivere l’autobiografia di un anziano avevo in mente la costruzione di una storia attorno a singoli episodi di vita appena abbozzati. Spunti buoni per sviluppare un intreccio, magari infarcito di una qualche velleità letteraria. Le lezioni di Savino e, soprattutto, le prime simulazioni d’aula mi portano a contenere lo slancio iniziale, ridimensionando le aspettative personali. L’intervistato ha tutti i diritti, mentre all’intervistatore restano solo i doveri, ci dice Savino, e ciò si comprende e lo si può accettare solo modificando l’obiettivo. Dallo “scrivere una storia” si deve passare al “trascrivere un’autobiografia”. Non più creatori, seppure guidati, ma amanuensi, non importa quanto informatizzati. Se non fossimo partiti per quest’avventura con l’immagine del cofanetto, tutto sarebbe ora più facile. Meglio, comunque, una brusca frenata adesso, che la delusione domani verso un prodotto che sentiremo non appartenerci. Mi è stato negato anche il diritto al rifiuto, prerogativa che, tuttavia, dovrò riconoscere al mio intervistato. Lui potrà non rispecchiarsi in ciò che mi avrà detto, mentre io non potrò dissociarmi da ciò che lui vorrà che io scriva. Dovendo accettare questa asimmetria, credo che la mia non sarà una storia da pubblicare, ma da lasciare sulla poltrona della casa che mi avrà ospitato. Gianpietro

20 gennaio 2010

Momenti di svolta

Momenti di svolta. Quali sono stati? E quanti? Come devo misurarli? In base al rilievo, al clamore suscitato, alla sorpresa destata negli altri? Oppure soppesando le conseguenze che hanno generato, o quantomeno quelle che ritengo di potere ad essi ricondurre? Nella debita scala, si torna sempre alla teoria del caos. All’abusata metafora del batter d’ali di una farfalla che scatena un terremoto nell’emisfero opposto. L’idea delle conseguenze, sia a breve termine, sia quelle scoperte a distanza di tempo e di luogo, mi stimola e la reputo corretta. E’ in questa accezione che penso di classificare i ricordi, sempre che abbia senso fissare delle priorità. Mi tornano alla mente episodi minimi, parsi poco significativi al momento e riascoltati oggi con sufficienza, se non compatimento (“tutto qui!?”), che io invece colloco, con consapevole sicurezza, all’origine di significativi cambiamenti della mia esistenza. Si tratta certo di una rielaborazione critica del ricordo, di una sua attualizzazione, anch’essa tuttavia figlia della verità dell’oggi. Certamente diversa, meno coinvolta e partecipe di quella di allora, ma forse, proprio per questo, più oggettiva in quanto letta da un osservatore esterno. O non è proprio l’esigenza di dare soddisfazione ai bisogni di questo osservatore esterno che, nella ricerca di una motivazione (il “capro espiatorio” di Pennac), sono indotto ad aggrapparmi a ciò che meglio mi giustifica, sollevandomi magari dal condurre una ricerca più approfondita e, quasi certamente, più dolorosa? Non ho una risposta. Ho però dei ricordi. Molti sono vividi e capaci di ridestare intense emozioni. Altri sono stati oggetto di rielaborazioni che oltre a farli rivivere, temo li abbiano adattati. Non scopro nulla se dico che certi profumi, certe situazioni, certi sguardi, riprodotti oggi, hanno un’intensità mille volte maggiore di quella sviluppata allora. Alcuni eventi, nel momento in cui accadevano, neppure ero in grado di registrarli, di coglierne la rilevanza e, ancor meno, prevederne gli sviluppi. Solo a distanza e come risultato di un processo di ricongiunzione ho acquisito la consapevolezza del legame esistente tra evento e modificazioni intervenute. Esercizio anche facile, come capita con la rilettura, a posteriori, delle profezie. Altri, forse i più, hanno marcato profondamente ed in modo consapevole l’animo nell’attimo stesso in cui hanno preso vita. Taluni erano forti solo al momento, mentre sarebbero risultati ininfluenti il giorno appresso, o in un differente contesto. Tralascio l’analisi dell’ambiente, delle circostanze e delle influenze esterne. Esercizio troppo soggettivo ed autoassolvente. Spesso l’incidenza dell’individuo è modesta rispetto alle cause naturali, alle volontà di terzi, o all’ineluttabilità del caso. Credo invece necessario distinguere l’ambito nel quale hanno giocato il proprio ruolo. Alcuni momenti hanno comportato adattamenti al processo di vita materiale, orientandomi verso determinate scelte a scapito di altre. Alcuni hanno invece inciso solamente a livello di coscienza, stati d’animo che hanno modificato la percezione del “sé” senza incidere, pur non potendolo escludere, sul corso materiale dell’esistenza e sul dipanarsi dei rapporti interpersonali. Altri, infine, hanno influito, per certo, nell’uno, come nell’altro campo. Sono tanti i momenti di svolta, da indurmi a dire che …

Il ricordo è

somma che dà sostanza

a ciò che siamo
Gianpietro