1 settembre 2009

Noi e il corpo degli altri

“Noi e il nostro corpo” è un libro che un gruppo di femministe americane scrisse negli anni ’70, per insegnare alle donne a prendersi cura del proprio corpo: è su questo libro che la mia generazione ha tratto le conoscenze più elementari del corpo e della sessualità. Ma il corpo è ben altro: è il modo in cui l’essere umano vive la relazione con gli altri e la sua vita su questa terra: è quindi necessario rapportarci anche con il corpo degli altri e in ogni situazione. Il modo in cui sono stata educata in famiglia, mi ha spinto ad evitare, il più possibile, il contatto con il corpo degli altri: niente baci tra parenti, non si parla in pubblico di malattie o di questioni sessuali o di certe funzioni fisiologiche, se uno si ammala, se ne occupa qualche parente anziana, che non ha molto da fare. Quando decisi di intraprendere il servizio di volontariato, seguii il primo corso di formazione disponibile: era un lungo corso di sei mesi, che EmmauS aveva organizzato, in collaborazione con il nascente hospice di Montericco, per la cura degli ammalati oncologici. Più per darci un’idea di quello che ci aspettava, che con fini educativi veri e propri, un medico palliativista ci sottopose una serie di diapositive con immagini mostruose di corpi deformati dal cancro e credo che quella visione scoraggiò più di un partecipante. In seguito, ci venne sempre detto che al volontario non veniva richiesto di prendersi cura del corpo del suo assistito, ma solo un po’ di compagnia. Come ho detto sopra, però, il corpo è un comportamento, una relazione e non è possibile scinderlo ed occuparsi solo di una parte. Il mio primo servizio fu proprio l’assistenza ad una malata oncologica, con il corpo devastato da piaghe, che richiedevano di essere lavate e disinfettate frequentemente: l’ammalata non aveva nessuno e per alcuni giorni, per un problema di mancanza di personale infermieristico, non venne nemmeno l’infermiera a domicilio, e lei mi chiese di aiutarla in questa operazione. Difficile negare una richiesta così impellente. Anche con il servizio attuale, le necessità sono continue e ripetute, e non è possibile per il volontario evitare o rimandare certe operazioni. Dopo dieci anni, devo dire che il contatto con il corpo degli altri è diventato un atto naturale, come tutti gli altri: se una persona è malata, anche le manifestazioni fisiche della sua malattia mi sembrano normali, fanno parte della totalità della sua persona e, soprattutto, non possono essere evitate. Cristina