20 febbraio 2009
18 febbraio 2009
costruire il presente
“…
Non bisogna dimenticare i vecchi con i corpi putrefatti, i vecchi vicinissimi a quella morte a cui i giovani non vogliono pensare (e così affidano alla casa di riposo il compito di accompagnare i genitori alla morte per evitare scenate o seccature), la gioia inesistente di quelle ultime ore che bisognerebbe gustare fino in fondo, e che invece subisci rimuginando nella noia e nell’amarezza. Non bisogna dimenticare che il corpo deperisce, che gli amici muoiono, che tutti ti dimenticano e che la fine è solitudine. E neppure bisogna dimenticare che quei vecchi sono stati giovani, che il tempo di una vita è irrisorio, che un giorno hai vent’anni e il giorno dopo ottanta. Colombe (personaggio del libro) crede che è possibile “affrettarsi a dimenticare” perché la prospettiva della vecchiaia per lei è ancora lontanissima, come se la cosa non la riguardasse. Io ho capito molto presto che la vita passa in un baleno guardando gli adulti attorno a me, sempre in fretta, stressati dalle scadenze, così avidi dell’oggi per non pensare al domani … In realtà temiamo il domani solo perché non sappiamo costruire il presente, e quando non sappiamo costruire il presente ci illudiamo che saremo capaci di farlo domani, e rimaniamo fregati perché domani finisce sempre per diventare oggi, non so se ho reso l’idea. Quindi non bisogna affatto dimenticare. Occorre vivere con la certezza che invecchieremo e che non sarà né bello né piacevole né allegro. E ripetersi che ciò che conta è adesso: costruire, ora, qualcosa, a ogni costo, con tutte le nostre forze. Avere sempre in testa la casa di riposo per superarsi continuamente e rendere ogni giorno imperituro. Scalare passo dopo passo il proprio Everest personale, e farlo in modo tale che ogni passo sia un pezzetto di eternità. Ecco a cosa serve il futuro: a costruire il presente con veri progetti di vita.
…”
Riflessioni semplici, alla portata di molti adolescenti, ma che, forse, nemmeno noi adulti ci soffermiamo a fare. Non credo sia necessario avere un parente ricoverato per condurre il proprio figlio a visitare una casa di riposo. Gianpietro
9 febbraio 2009
Per chi suona la campana?
.
.
.
..
Nessun uomo è un'isola,
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare,
l'Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché io sono parte dell'umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
suona per te.
(John Donne - Meditation XVII)
Oggi è morta una ragazza che era in coma da diciassette anni. La vicenda ha fatto molto discutere l’opinione pubblica, perché il padre aveva chiesto al tribunale di poter sospendere la somministrazione dei farmaci e dei liquidi, che tenevano in vita la figlia. Ho fatto molta fatica a capire il delirio e l’esaltazione collettiva che ha preso così tante persone, per una vicenda che, negli ospedali, si ripete ogni giorno, quando per una persona non ci sono più speranze di una ripresa di coscienza. Ho pensato che, forse, questo famoso sermone di Donne possa spiegare questo meccanismo di identificazione, di rifiuto della morte, ma forse anche di affetto, per una persona che non si conosceva. Le emozioni che, invece, questa vicenda mi ha suscitato, sono state espresse in modo efficace, in una poesia di Guido Ceronetti, che si intitola “La ballata dell’angelo ferito”. Cristina
6 febbraio 2009
segue la vita tracce
.
.
.
.
.
.
Segue la vita tracce a completar disegni
che d’incerto l’inizio frutto non son dell’oggi
anche se assenza tollerar non puoi
di passi fatti a bilanciar cadute.
Lungo è il percorso e dubbio spesso il pane,
tanta la voglia di lasciarsi andare
a ripagar richiami brevi come il giorno
fatti esperienze in somme spesso amare.
Vai come in gioco a riscoprir lo scopo
con tasche colme di virtù e talenti,
nulla temendo e l’animo sereno
già che venisti sol col tuo bagaglio.
Disseminati amici a lastricar le strade
verità sanno dare adatta al tempo
che di far tue decidi se ti serve
a ritrovar radici chiuse in fondo al cuore.
Cercale attenta e fino a quel momento
diffida scelte che non han ritorno.
Corpo è strumento e mente conoscenza
pedine entrambe mai elette a meta.
Temi l’attesa che non porta frutto
nemica prima in odio al tuo padrone,
donati a lui, cavalli e cocchio insieme,
che strada certa altrove altra non c’è.
Gianpietro
5 febbraio 2009
libero arbitrio
Non conosco il contesto nel quale sono state pronunciate queste parole, probabilmente funzionali ad un particolare tipo di uditorio, ma invidio a Rondet la sicurezza di cui fa sfoggio asserendo di conoscere Dio ed i Suoi desideri. Stando al gioco della umana banalizzazione della divinità ed ammettendo che Rondet parlando di “persone libere” intenda riferirsi al “libero arbitrio” mi viene da chiedere in cosa “realmente” si differenzino le due posizioni. Esse sono infatti solo apparentemente contrapposte dato che la prima non è altro che la radicalizzazione dello stesso principio che ispira la seconda. In entrambe infatti si afferma che esiste “un disegno per tutta l’umanità”, solo che Rondet lo addolcisce chiamandolo, “desiderio”. Mi sembra trattarsi solo di forma, non di sostanza. Nella prima ipotesi il “libero arbitrio” ci può far compiere la scelta sbagliata facendoci “perdere tutto” senza possibilità di ravvedimento. Una volta puntate le fiches sul rosso, se esce il nero sei condannato. Nella seconda ipotesi Rondet afferma che hai la “parola (Vangeli)” che ti guida nella roulette della vita ed il “libero arbitrio” non è altro che la capacità di riconoscerla e farla propria (vedi le tribolazioni patite dai Santi nel loro cammino alla ricerca della santità). Ma se anche la risposta che daremo “non è scritta da nessuna parte”, ciò non di meno una sola è quella giusta e finchè non la si trova si resta al di fuori “della volontà di Dio” nella prima assunzione, “del desiderio di Dio” nella seconda. Qualcuno mi spieghi la differenza. Gianpietro