11 agosto 2013

E' volontariato anche quello familiare

Ci sono volontari che accedono al servizio dopo un’esperienza personale, per aver compreso, in quella circostanza, il valore della solidarietà. Ce ne sono altri, invece, che vi si accostano quasi per caso e da quella esperienza imparano a gestire in modo sereno eventuali situazioni che dovessero capitare anche in famiglia. Mi ha suscitato questo pensiero il post di una giovane forumista che su un altro sito confessava sgomenta che si sarebbe sentita male solo all’idea di doversi occupare dei suoi genitori, una volta divenuti anziani, i quali, diceva, non si erano mai curati di lei, quando era piccola né dopo. L’ho rassicurata subito dicendole che alla sua età, e per altre ragioni, sicuramente meno drammatiche delle sue, avrei pensato la stessa cosa.
Invece adesso che mi devo occupare di mia madre ultranovantenne questa cosa non mi spaventa più. Come dice il detto, più che preoccuparsi è sempre meglio occuparsi.
In un altro post, avevo parlato della prima badante, che abbiamo assunto per assistere mia madre che vive con me. La scelta di accogliere in casa mia madre l’ho trovata giusta, anche se a dire il vero all’inizio avevo più di un timore, perché avrebbe limitato la mia libertà. In questo modo, con qualche aiuto, si può fare una vita normale: lavorare, ricevere gli amici, andarsene ogni tanto per qualche fine settimana, mentre i genitori che vivono da soli richiederebbero tutto il nostro tempo libero, senza contare i costi fissi che sarebbero il doppio.
Nina, la prima badante, si è licenziata, dopo sei mesi, per tornare in Georgia, che è il suo paese e nello stesso giorno è arrivata Luba, ukraina, che ho scoperto essere mia vicina di casa e della quale siamo tutti molto contenti. Anche di Nina siamo rimasti contenti per quanto riguarda il lavoro, del quale era molto competente, ma poi si sono rivelati alcuni aspetti un po’ negativi della sua personalità, non prevedibili in sede di colloquio, e altri invece ai quali avremmo dovuto dare più importanza, come la conoscenza della lingua italiana, che lei non è mai riuscita a imparare.  Adesso so che è importantissimo, invece, che chi assiste il malato gli faccia compagnia, ne solleciti l’attenzione, tenendolo informato sui fatti quotidiani e cercando di conoscerlo meglio, per cercare di capirne i gusti, le aspettative, per quello che si può, naturalmente. Luba è una badante completa: ha per il suo lavoro una vera vocazione e, cosa molto importante, cucina molto bene e conosce perfettamente tutte le proprietà dei cibi, cercando di somministrare a mia madre cibi genuini, con il giusto apporto nutrizionale. Tutto quello che può fare in casa lo fa, così sa che gli ingredienti sono buoni e naturali: marmellate, gnocchi di patate, minestre di verdura, polpette e altri piatti che sa cucinare con abilità da chef, perché ha lavorato per sette anni in un ristorante di Modena. Poi, si è dovuta occupare della suocera, che è italiana, e che ancora piuttosto giovane aveva avuto un ictus e qui ha imparato tutto quello che occorre sapere per assistere un malato grave in casa, competenza della quale ha poi fatto la sua professione. Luba naturalmente non vive con noi e fa un orario di lavoro che copre il mio in ufficio, ma ho preferito farle un contratto a tempo pieno, per avere la sua disponibilità ogni volta che si rende necessaria.
Ma tornando al titolo, che ho dato a questo post, vorrei dire che il miglior modo per svolgere attività che sentiamo come un dovere e che troviamo faticose, alle quali non siamo abituati, è farlo proprio con l’atteggiamento del volontario, che diventa un vero volontario, come affermava l’abbé Pierre, solo quando è già lì con le valigie in mano, pronto per andarsene, magari chiedendo a se stesso chi glielo ha fatto fare di trovarsi lì in quella situazione e poi, invece, alla fine decide di restare.
Cristina