Ci sono volontari che accedono al servizio dopo un’esperienza
personale, per aver compreso, in quella circostanza, il valore della solidarietà.
Ce ne sono altri, invece, che vi si accostano quasi per caso e da quella
esperienza imparano a gestire in modo sereno eventuali situazioni che dovessero
capitare anche in famiglia. Mi ha suscitato questo pensiero il post di una
giovane forumista che su un altro sito confessava sgomenta che si sarebbe
sentita male solo all’idea di doversi occupare dei suoi genitori, una volta
divenuti anziani, i quali, diceva, non si erano mai curati di lei, quando era
piccola né dopo. L’ho rassicurata subito dicendole che alla sua età, e per
altre ragioni, sicuramente meno drammatiche delle sue, avrei pensato la stessa
cosa.
Invece adesso che mi devo occupare di mia madre ultranovantenne
questa cosa non mi spaventa più. Come dice il detto, più che preoccuparsi è sempre
meglio occuparsi.
In un altro post, avevo parlato della prima badante, che
abbiamo assunto per assistere mia madre che vive con me. La scelta di
accogliere in casa mia madre l’ho trovata giusta, anche se a dire il vero all’inizio
avevo più di un timore, perché avrebbe limitato la mia libertà. In questo modo,
con qualche aiuto, si può fare una vita normale: lavorare, ricevere gli amici,
andarsene ogni tanto per qualche fine settimana, mentre i genitori che vivono
da soli richiederebbero tutto il nostro tempo libero, senza contare i costi
fissi che sarebbero il doppio.
Nina, la prima badante, si è licenziata, dopo sei mesi, per
tornare in Georgia, che è il suo paese e nello stesso giorno è arrivata Luba,
ukraina, che ho scoperto essere mia vicina di casa e della quale siamo tutti
molto contenti. Anche di Nina siamo rimasti contenti per quanto riguarda il
lavoro, del quale era molto competente, ma poi si sono rivelati alcuni aspetti
un po’ negativi della sua personalità, non prevedibili in sede di colloquio, e
altri invece ai quali avremmo dovuto dare più importanza, come la conoscenza
della lingua italiana, che lei non è mai riuscita a imparare. Adesso so che è importantissimo, invece, che
chi assiste il malato gli faccia compagnia, ne solleciti l’attenzione,
tenendolo informato sui fatti quotidiani e cercando di conoscerlo meglio, per
cercare di capirne i gusti, le aspettative, per quello che si può, naturalmente.
Luba è una badante completa: ha per il suo lavoro una vera vocazione e, cosa
molto importante, cucina molto bene e conosce perfettamente tutte le proprietà
dei cibi, cercando di somministrare a mia madre cibi genuini, con il giusto
apporto nutrizionale. Tutto quello che può fare in casa lo fa, così sa che gli
ingredienti sono buoni e naturali: marmellate, gnocchi di patate, minestre di
verdura, polpette e altri piatti che sa cucinare con abilità da chef, perché ha
lavorato per sette anni in un ristorante di Modena. Poi, si è dovuta occupare
della suocera, che è italiana, e che ancora piuttosto giovane aveva avuto un ictus
e qui ha imparato tutto quello che occorre sapere per assistere un malato grave
in casa, competenza della quale ha poi fatto la sua professione. Luba
naturalmente non vive con noi e fa un orario di lavoro che copre il mio in
ufficio, ma ho preferito farle un contratto a tempo pieno, per avere la sua
disponibilità ogni volta che si rende necessaria.
Ma tornando al titolo, che ho dato a questo post, vorrei
dire che il miglior modo per svolgere attività che sentiamo come un dovere e
che troviamo faticose, alle quali non siamo abituati, è farlo proprio con l’atteggiamento
del volontario, che diventa un vero volontario, come affermava l’abbé Pierre,
solo quando è già lì con le valigie in mano, pronto per andarsene, magari
chiedendo a se stesso chi glielo ha fatto fare di trovarsi lì in quella
situazione e poi, invece, alla fine decide di restare.
Cristina