19 agosto 2009

Perché questa scelta?

Mi chiamo Cinzia e sono una volontaria che ha iniziato nel 2001 un corso di dieci incontri, di tre ore ciascuno, finalizzato a “prendersi cura” del malato terminale. Alla fine del corso, ho fatto un colloquio e dopo alcuni mesi ho deciso di iniziare a fare volontariato in hospice. I bisogni della casa erano molti ed io avevo scelto il servizio alla reception, la distribuzione dei pasti e la compagnia agli ammalati. Dopo alcuni anni, ho scelto solo l’assistenza agli ammalati, seguendo un corso specifico. Perché questa scelta? Ho capito che i malati sono grandi maestri di vita, perché ti aiutano a confrontarti con l’essenzialità della vita, ma soprattutto perché a volte ti senti impotente e inutile, ma ci sei. Ho constatato che il malato si confida volentieri con il volontario, perché, rispetto alla sua famiglia, è una persona emotivamente più distaccata. Anche la famiglia ha spesso voglia di parlare, di raccontare .. perché quando uno si ammala, spesso anche tutta la famiglia viene coinvolta nella malattia. Ci vuole una grande capacità di ascolto, lasciando anche spazio al silenzio e alla discrezione. Cosa vuol dire quindi, per me, essere volontaria? Sono una specialista in “umanità gratuita” e do secondo le mie possibilità ed il mio tempo; non sono onnipotente, ma ho anche le risorse: quindi tante risorse, tanti volontari possono essere un aiuto prezioso per tutti quelli che ne hanno bisogno. Cinzia

11 agosto 2009

Sapersi tutelati

Perché alcune persone si sentono attratte dal volontariato e altre no?” E’ perché, in seguito ad un’esperienza personale, i nostri occhi si sono aperti alle sofferenze degli altri o perché sentiamo che sia tempo di diventare persone migliori o forse perché c’è stato un cambiamento nel nostro stile di vita, che ci ha concesso più tempo libero. Nel mio caso, c’è stata un’altra ragione minore. Io sono inglese, e volevo sentirmi parte integrante nella società in cui avevo deciso di vivere. Sono volontaria di EmmauS fin dall’autunno del 1996, dopo un’esperienza personale di assistenza a due membri della mia famiglia a me molto cari e molto ammalati di due diverse malattie: uno di Parkinson e l’altro di cancro. Sebbene, dopo la loro morte, fossi abbastanza sicura di voler continuare a dedicare un po’ delle mie energie ad altre persone, sentivo che dovevo pensare seriamente alla “causa” o al tipo di organizzazione di volontariato a cui volevo partecipare. Chiesi consiglio ad un’amica di vecchia data, che aveva una grande esperienza come ricercatrice di risorse finanziarie per la carità. La sua risposta toccò due aspetti complementari del volontariato: il volontario e l’organizzazione. “Un potenziale volontario deve voler aiutare gli altri e avere un approccio positivo, ma razionale in ogni servizio che intraprende. Un potenziale coordinatore di zona, di una organizzazione di volontariato, dovrebbe essere sempre molto attento alla evoluzione dei casi presi in carico, così come all’attività di tutti i volontari”. Io credo che EmmauS sia cresciuto positivamente. Cerca sempre fortemente di porsi e raggiungere nuovi obiettivi e penso che lo staff faccia un lavoro eccellente nella organizzazione e nella formazione dei volontari. Tuttavia, sento che il ruolo del coordinatore di zona sia determinante per la qualità del servizio e per il benessere psicologico dei volontari. Con il passare del tempo, i casi possono richiedere un riassestamento o una riorganizzazione del servizio volontario. I volontari anche dovrebbero forse essere più proattivi nell’informare i loro coordinatori di zona sull’evolversi delle situazioni e le difficoltà del loro servizio e i coordinatori, per quanto possa essere difficile, dovrebbero fare il possibile per sollevare il volontario da ogni criticità in un tempo ragionevole. Frances

4 agosto 2009

Poesia

Ho trovato la poesia di cui vi parlavo ieri e la vorrei dedicare a tutti i volontari che sono in servizio, in questa torrida estate.




Spiritualità della bicicletta
(Madeleine Delbrêl)
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«Andate» ci dici, Signore, a ogni svolta del Vangelo.
Per essere con te sulla tua strada occorre andare,
anche quando la nostra pigrizia ci supplica di fermarci.
Tu ci hai scelto per essere in un equilibrio strano.
Un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi
se non in un movimento,
se non in uno slancio.

Un po' come una bicicletta che non sta su senza girare,
una bicicletta che resta abbandonata contro un muro
finché qualcuno non la inforca
per farla correre veloce sulla strada.

La condizione che ci è data è un'insicurezza vertiginosa,
universale.
Non appena cominciamo a guardarla,
la nostra vita oscilla e ci sfugge.
Noi non possiamo star dritti se non per marciare
e tuffarci in uno slancio di carità.

Tu ti rifiuti di fornirci una carta stradale.
Il nostro cammino avviene di notte.
Ogni azione da compiere di volta in volta
si illumina come le luci dei segnali.

Spesso la sola cosa garantita
è questa fatica regolare
del medesimo lavoro da fare ogni giorno,
delle medesime faccende da ricominciare,
dei medesimi difetti da correggere,
delle medesime sciocchezze da evitare.

Ma, al di là di questa garanzia,
tutto il resto è lasciato alla tua fantasia
che si scatena a suo piacimento con noi.

Cristina

3 agosto 2009

La bicicletta

Madeleine Delbrêl (1904-1964) fu una cristiana laica, diventata figura di riferimento, tra gli altri, di un’assistente sociale che, fin dall’inizio, mi guida nel servizio di EmmauS, con l’aiuto prezioso dei suoi consigli e della sua esperienza personale.
Un episodio che mi racconta spesso, di questa straordinaria donna del Novecento, lei stessa assistente sociale in un piccolo paese della Francia meridionale, è quando si recò a portare un pacco di vestiti ad una famiglia povera e, aprendo il pacco, vide con grande sconcerto che conteneva calzini ed altri indumenti intimi sporchi. Che vergogna! Che umiliazione per quella famiglia! Corse fuori e andò da un fiorista a comprare il mazzo di fiori più bello che c’era e lo portò a quella famiglia che, da allora, divenne una delle sue più ferventi sostenitrici.
"Nel servizio – diceva - si tratta di imparare ad avvicinare «gente che è stata scorticata viva» e che perciò soffre solo a sfiorarla; gente che deve essere incontrata «con dolcezza». Ma che cos'è la dolcezza? Spiega: «È ciò che riesce a toccare senza ferire», e vuole che le sue assistenti siano «esseri dolci che passano senza scalfire». Quando manda le sue giovani a visitare le famiglie, le avverte che queste non hanno bisogno di essere visitate «come si ispeziona una valigia alla dogana»: bisogna andare a loro come genitori che visitano i figli, e fratelli che visitano i fratelli.
Era una donna molto simpatica, che faceva ridere, e questo era il suo grande talento. Ci sono tanti termini, da lei stessa inventati, come “la liturgia da bar”, che esprimono con chiarezza il suo pensiero, in un modo semplice, che tutti riescono a capire, ridendoci anche su. Tra quelli che trovo più efficaci, c’è la “spiritualità della bicicletta”, sul quale scrisse una poesia. Sosteneva che, per molti cattolici, la fede era come una bicicletta appoggiata al muro, che sta su, ma è immobile. Per fare il bene, invece, bisogna fare come la bicicletta, che svolge la sua funzione soltanto quando è in piedi e va. Cristina