Si parla molto di libertà oggi e, come qualcuno ha giustamente
detto a proposito dell’acqua, quando si parla molto di un bene, vuol dire che
questo bene sta cominciando a scarseggiare. Ha ragione l’autore de “Il Profeta”
a dire che la libertà comincia da noi stessi e se non abbiamo la libertà
interiore, diventa allora inutile detronizzare potenti e tiranni, perché a un potere ne
seguirà un altro, se ci sono uomini che non sanno vivere da uomini liberi. Ma,
nella concretezza, cosa significa essere uomini liberi? Penso che voglia dire
che c’è un bene che promuove la vita e oggettivamente pensabile e non dipende
dalle circostanze, ed essere liberi significa avere la capacità di giudizio per
individuare quel bene e operarlo. Socrate in catene, che decide di morire, piuttosto che scappare in esilio, non si piega all’arroganza del potere e se
oggi il suo pensiero si è tramandato fino a noi e nutre ancora il nostro spirito
è in virtù di quella scelta. Se Socrate fosse fuggito, non sarebbe stato per i
suoi discepoli un esempio da seguire, perché, nel momento della massima libertà,
quello della scelta, lui avrebbe preferito rinunciarvi, per salvarsi, e tutto
quello che aveva detto fino a quel momento avrebbe perso di valore. Ma tornando ai nostri tempi, penso che libertà interiore
voglia dire libertà della coscienza di riconoscere il bene anche nella situazione
più drammatica e farlo. Non ci dobbiamo illudere che oggi possa nascere un governo che ci assicuri la libertà, perché la democrazia, ammesso che
sia mai esistita, oggi non c’è sicuramente e non ci dobbiamo illudere al
riguardo. Possiamo, però, operare il bene, in qualunque situazione ci troviamo,
e questa libertà non ci verrà mai a mancare. Cristina
18 giugno 2012
Quale libertà oggi
(pag. 18 e pag. 19) “Se è un despota colui che volete
detronizzare, badate prima che il trono eretto dentro di voi sia già stato
distrutto. Poiché come può un tiranno governare uomini liberi e fieri, se non
per una tirannia e un difetto della loro stessa libertà e del loro orgoglio?”
13 giugno 2012
Il lavoro
(pag. 11) Il lavoro è amore rivelato. E se non riuscite a
lavorare con amore, ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e, seduti
alla porta del tempio, accettare l'elemosina di chi lavora con gioia.
Il capitolo sul lavoro de “Il Profeta” è molto bello dal
punto di vista teorico, perché mostra che in ogni mestiere, anche quello umile
del panettiere, ci può essere poesia, se svolto con amore e, se manca questa
qualità, persino il pane verrebbe male. Ma gli antichi dicevano anche che prima
bisogna vivere e poi fare della filosofia e leggendo la biografia dell’autore
di questo libro si scopre che c’è della verità e del buon senso anche in questa
affermazione. Gibran potè studiare, scrivere, dare vita a riviste e
associazioni culturali, pur provenendo da una famiglia economicamente disagiata,
solo perché ci fu chi lo mantenne, a cominciare dalla madre, con il suo lavoro
di merciaia, poi, quando la madre morì, la sorella, con il suo lavoro di
sartina, e per finire un'anziana amante, Mary Haskell, che finanziò la maggior
parte delle sue iniziative. Nessuno scrittore riuscì mai a mantenersi con il
proprio lavoro e fu principalmente per questo motivo che gli scrittori un tempo, o prevenivano da famiglie facoltose, oppure dovevano lavorare, svolgendo
mestieri modesti, che non potevano certamente amare, come Pessoa e anche altri.
Ci provò Proust a lavorare come bibliotecario o archivista, ma credo che non
durò nemmeno un mese. Ma sarebbe certamente bello, non riuscendo a lavorare con
gioia, vivere accettando la elemosina di chi con gioia, invece, lavora. Ma io
credo che sia esattamente il contrario: che qualcuno possa lavorare con gioia,
solo perché c’è chi, lavorando con disgusto, finanzia il suo lavoro. E non
dobbiamo pensare per forza male, alludendo a corrotti e parassiti. Penso a chi
lavora nella ricerca, con passione, dedicando a essa tutta la vita. Molto spesso lo può fare perché ci sono contribuenti, non sempre così felici di farlo né di lavorare,
che lo sostengono. Allora questo capitolo lo modificherei sostanzialmente
dicendo che, dovendo lavorare, cercheremo di essere almeno responsabili del nostro
lavoro e di farlo bene, cercheremo anche di essere sempre gentili con tutti,
sorridendo al mattino, quando entriamo al lavoro, anche quando non avremmo
nessuna voglia di farlo. Cristina
12 giugno 2012
Sul matrimonio
(pag. 7) “Cantate e danzate insieme e state allegri, ma
ognuno di voi sia solo. Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di
musica uguale.”
Il capitolo sul matrimonio del libro che stiamo leggendo
insieme: “Il Profeta” di Gibran istruisce sul valore della solitudine, che non
è misantropia o egoismo, ma consapevolezza di essere una persona diversa dall’altra,
con caratteristiche personali ben distinte, alle quali non occorre rinunciare,
perché non c’è amore se manca la libertà di essere se stessi e se il rapporto
di coppia viene vissuto come una prigione o come un dovere. Mi è piaciuta
comunque l’espressione “cantate e danzate insieme e state allegri” perché credo
che sia da questa allegria che riconosciamo che c’è l’amore. Certamente, nella
vita insieme, ci sono momenti difficili, ma questa allegria non dovrebbe mai
mancare, perché quando finisce la voglia di ridere insieme, finisce tutto.
Sento spesso gli anziani che ricordano il tempo della giovinezza, quando
bastava poco per divertirsi ed essere allegri e trovo strano che quel poco che
bastava allora non si cerchi di tenerlo vivo, come si terrebbe vivo un piccolo
fuoco, sotto la cenere del camino, che altrimenti rischierebbe di spegnersi.
Oltre all’allegria c’è, a mio avviso, anche un’altra qualità importante, che
vale per tutte le relazioni, ed è l’umorismo, che aiuta a ridimensionare tutto,
perché nella vita insieme, spesso, si amplificano problemi, che non meriterebbero
tanta importanza e preoccupazione. Cristina
10 giugno 2012
Quando l'amore chiama
(pag. 6) Quando l'amore vi chiama, seguitelo. Anche se le
sue vie sono dure e scoscese e quando le sue ali vi avvolgeranno, affidatevi a
lui. Anche se la sua lama, nascosta tra le piume, vi può ferire. E quando vi
parla, abbiate fede in lui, anche se la sua voce può distruggere i vostri sogni
come il vento del nord devasta il giardino. Poiché l'amore come vi incorona
così vi crocefigge. E come vi fa fiorire
così vi reciderà. Come sale alla vostra sommità e accarezza i più teneri rami
che fremono al sole, così scenderà alle vostre radici e le scuoterà fin dove si
avvinghiano alla terra.
Non ci può essere vita senza l'amore. L'amore è un dono, che non dobbiamo nemmeno fare tanta fatica a
cercare, perché non dobbiamo fare altro che aprire
il cuore e allargare le braccia, per accoglierlo, quando lo incontriamo. Poi, la società ha cercato di
incasellarlo in schemi e istituzioni, che hanno indubbiamente una loro utilità per dare stabilità e continuità all’amore, ma l’amore è una qualità spirituale,
che poco ha a che fare con le nostre costruzioni e i nostri recinti. L’amore
vero è quello che tiene insieme tutto l’universo: l’amore è forte, saldo ed
eterno, ma siamo noi che, a volte, chiudiamo il cuore e non ne vogliamo sapere,
perché ne abbiamo paura. Ma è anche vero che può procurare dolore. Per seguire l’amore,
quando chiama - come dice il profeta - spesso si abbandona qualcuno: un padre o
una madre, un altro uomo o un’altra donna, a volte una fede o una missione e
questo porta spesso dolore. Basti pensare a Edith Stein, brillante allieva di
Husserl, che dopo aver scoperto che non è la filosofia che porta alla
verità, ma la scienza della croce, attraverso Cristo, rinunciò all’ebraismo,
per convertirsi al cristianesimo, spezzando il cuore alla madre e lacerando i
rapporti tra loro. Ma anche nella vita più normale, i genitori fanno esperienza
di questa duplicità dell’amore. Poco tempo fa, chiesi a mia madre quali fossero
stati i momenti più felici della sua vita e quali quelli più dolorosi. Non ebbe alcuna
esitazione a rispondere che quelli più felici erano stati la nascita dei figli
e quelli più dolorosi erano stati a causa nostra. Cristina
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