15 aprile 2012

Odio e sofferenza


(pag. 44) … aveva giurato vendetta, era pronto a combattere contro lo stormo all’ultimo sangue, E così si accingeva a fabbricarsi il suo piccolo inferno privato … è chiaro che non ami la cattiveria e l’odio, questo no. Ma bisogna esercitarsi a discernere il vero gabbiano, a vedere la bontà che c’è in ognuno, e aiutarli a scoprirla da se stessi, in se stessi.

Non credo esista ostacolo più difficile da superare. Più ancora che giungere ad amare la sofferenza. Questa richiede infatti solo un rapporto con se stessi, nel quale gli altri o sono esclusi o sono anch’essi vittime. Ecco che allora si può elaborarla, comprenderla, accettarla, fino ad amarla per l’opportunità di rinascita interiore che sa offrire. Naturalmente c’è anche chi la legge solo come un nemico da odiare e da combattere e allora ne rimarrà vittima senza coglierne gli aspetti positivi. Amarla non significa ricercarla o non curarla, tutt’altro, ma poiché essa esiste da sempre e può colpire in qualunque momento noi e coloro con i quali ci relazioniamo, ecco che possiamo scegliere tra incolparne la natura (o la divinità), o servircene per compiere un passo avanti nel cammino dell’evoluzione.
Differente è il discorso quando ci poniamo a confronto con il male. In questo caso l’identificazione del male in chi lo compie è, il più delle volte, automatica. È tutt’altro che sottile la distinzione tra le espressioni: “è un criminale” ed “è una persona che ha commesso un crimine”. L’individuo, qualunque individuo, è più delle azioni che compie e finchè il male ci porterà a nutrire solo odio nei suoi confronti, resteremo invischiati del nostro “piccolo inferno privato”. Gianpietro
1994 carestia in Sudan. Il bambino avanza lentamente verso il campo profughi dell'ONU, distante oltre un chilometro, sotto lo sguardo interessato di un avvoltoio. Tre mesi dopo, il fotografo, Kevin Carter, ha vinto il premio Pulitzer grazie a questa immagine. La settimana successiva Carter si è suicidato. Nessuno conosce la sorte del bambino.

2 commenti:

Cristina ha detto...

Penso che anche nel caso dell’odio, che è una passione, ci sia un odio individuale e un odio collettivo e che entrambi richiedano un lavoro su se stessi. A livello individuale, entra in gioco la volontà: quella dell’amore e non dell’odio è una scelta che va fatta a priori e difficilmente può avvenire in pieno coinvolgimento emotivo. E così, se ci capiterà di provare questa passione così forte, ricorderemo l’antica promessa e metteremo in atto le tecniche per superarla, con la volontà e la razionalità, sviluppando, per esempio, l’empatia e impegnandoci nella solidarietà e nella cooperazione.
Mi viene in mente Nelson Mandela che dopo vent’anni di carcere, una volta libero, andò all’incontro con chi lo aveva tenuto in carcere, per tutti quegli anni, meditando pensieri di odio e di vendetta. Arrivato a metà strada, verso il luogo dell’incontro, si fermò, riflettendo sui suoi propositi e cambiandoli. Durante l’incontro, abbracciò il suo nemico e divenuto presidente istituì un tribunale chiamato Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Truth and Reconciliacion Commission, TRC).

Cristina ha detto...

Pensando agli esempi positivi di superamento dell’odio, mi viene in mente anche Etty Hillesum, la giovane ebrea che pur avendo la possibilità di salvarsi scelse deliberatamente di seguire la sorte del suo popolo e morì in un campo di concentramento, per stare vicino, fino all’ultimo, alle bambine ebree.
Il Diario che scrisse negli ultimi anni di vita è un bel libro da leggere su questo argomento dell’odio. Ne riporto uno stralcio:

”Non possono farci niente, non possono veramente farci niente.
Possono renderci la vita un po' spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po' di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: con il nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, con il nostro odio e con la millanteria che maschera paura. Certo ogni tanto si può esser tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli.
Trovo bella la vita, e mi sento libera.
I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore.
La vita è difficile, ma non è grave.
Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare sé stessi” non è proprio una forma di d'individualismo malaticcio.
Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. E' l'unica soluzione possibile.
E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d'eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumi.
Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra.”