8 ottobre 2008

Esiste davvero l'umiltà?

La parola “servizio” non ci deve trarre in inganno, perché, anche se usiamo spesso questa parola, dell’umiltà del servo a noi non è rimasto niente. La mia prima referente EmmauS era la moglie di un medico importante; lei stessa si era molto distinta come crocerossina, ai tempi in cui questa era l’attività delle ragazze di buona famiglia e, nonostante i numerosi figli e impegni familiari, continuò fino all’ultimo a fare volontariato. Il primo caso che mi venne affidato era complesso, e richiedeva che si facessero degli incontri tra il medico, l’assistente sociale, il volontario e questa referente che, ricordo, si indignava molto, quando qualcuno in quelle riunioni, riferendosi a lei in terza persona, usava il suo nome di battesimo, anziché il cognome del marito, preceduto dal rispettoso appellativo di signora. Mi stupiva inoltre notare come, all’assistita, lei si rivolgesse con il tu, e questa, invece, le rispondesse usando il lei. Dopo alcuni incontri, io ho accolto con molto piacere la proposta della mia assistita di passare al tu reciproco. Tra colleghi volontari, poi, mi è sempre sembrata ben accetta la spontaneità di un tu, che mostrasse di andare un po’ verso quella fraternità, alla quale tutti diciamo sempre di aspirare, ma che poi non riusciamo mai a realizzare. Vengo invece a sapere, da un incontro con un’esperta di organizzazione, che si occupa in modo specifico della organizzazione delle associazioni di volontariato e delle cooperative, che il tu deve essere di nuovo bandito: ci ha esortato a smetterla con questa familiarità da compagni di scuola. Qualche giorno fa, mi sono rivolta con il tu ad una psicologa dell’hospice, che vedo da un po' di tempo, ma, in effetti, non conosco molto bene. Lei mi ha guardato stupita e, andandosene, mi ha salutato rimarcando bene l’appellativo di signora, e da allora la chiamo rispettosamente dottoressa. Nell’azienda in cui lavoro, i titoli vennero rigorosamente vietati dieci anni fa, venne addirittura distribuita una circolare a questo proposito, perché un nuovo e importante partner americano esigeva che i rapporti fossero meno formali; in realtà, i ruoli rimasero ben distinti, ma devo ammettere che i rapporti sono notevolmente migliorati, e si lavora, con qualche eccezione, in un clima di maggior distensione. Per concludere un po’ questo discorso, penso che la società cambi spesso idea su questa materia, a volte anche sulla base un po' superficiale delle mode, ma per il volontario debba valere la regola del buon senso e della buona educazione, lasciando sempre che sia l’altro a decidere sull’aspetto formale della relazione. Cristina

2 commenti:

Gianpietro ha detto...

Concordo con Cristina che l’uso del tu nel rapportarsi anche con conoscenze occasionali faciliti il dialogo e l’entrata in sintonia. È su altri piani, in particolare quello del comportamento, che dovrebbero essere applicate quelle forme di cortesia, di rispetto e di deferenza che l’età, o il ruolo sociale, richiederebbero. L’ormai consolidata abitudine ad un linguaggio così confidenziale comporta tuttavia almeno due tipologie di rischio. La prima è la convinzione di una parità che non esiste (vedasi il rapporto docenti/discenti) e quindi il facile travalicamento dei limiti lessicali. La seconda è la difficoltà a ristabilire le distanze quando un eccesso di confidenza iniziale si scontra con la mancanza di presupposti per l’instaurarsi di un rapporto più approfondito (vedasi la conoscenza occasionale in treno o al bar). Nel primo caso anche il linguaggio, pur con i suoi formalismi, fa parte della strumentazione didattica che, se opportunamente applicata, rientra nel bagaglio educativo dell’insegnante. Nel secondo caso suggerisco un minimo di prudenza perché il passaggio dal “lei” al “tu” è indolore ed anzi gratificante, mentre il percorso contrario, come ci testimonia Cristina, crea scompiglio e malumore. D’altronde siamo italiani, mica abbiamo lo “you” anglosassone. Gianpietro

Cristina ha detto...

Io avevo un professore di filosofia che dava del lei agli studenti, e ne spiegava il motivo dicendo che, poiché il regolamento scolastico imponeva che lo studente desse del lei al professore, non riteneva corretto, da parte sua, dare del tu agli studenti. In questo atteggiamento mi sembra di vedere l’umiltà di riconoscere un regolamento imposto dalla scuola, diversamente da altri insegnanti, che in quegli anni di grandi cambiamenti, proponevano agli studenti di passare al tu, e l’umiltà verso gli studenti, non abusando del potere di una carica che lo mettesse al di sopra di loro, ma confidando solamente sulle sue forze, per suscitare interesse e rispetto, come in realtà avvenne. Oggi, io penso che l'umiltà sia soprattutto una questione di stile, che però sia un po' difficile da spiegare a livello teorico. Capire l'umiltà è più semplice, se si hanno degli esempi, ma questi sono piuttosto rari, perché dal Papa all'ultimo dei chierichetti, amiamo tutti il potere che ci dà il mondo. Cristina