24 ottobre 2008

Il "care-giver"

Ieri sera ho partecipato ad una riunione, dove un "counsellor" spiegava ai volontari del "front office" come accogliere i "care-givers". Se c'è una cosa che mi manda in confusione è ascoltare due lingue contemporaneamente: sembra che il mio sistema neurologico non abbia la flessibilità necessaria per passare velocemente da una all'altra. E' pur vero, però, quello che hanno risposto alla mia obiezione: alcuni termini non sono facilmente traducibili. Il "care-giver" ha assunto la funzione del familiare, nel momento in cui la famiglia ha cessato di essere un nucleo sociale autosufficiente. Quando ho iniziato ad andare a scuola, venivo accompagnata dalla nonna paterna, mentre una zia materna, non sposata, si prendeva cura dell'altra nonna, invalida. Quando la zia materna e la nonna paterna si ammalarono, a loro volta, in casa non c'era più nessuno che si occupasse di loro. Da qui, la necessità di un aiuto esterno, al di fuori della famiglia: vicini di casa, assistenti domiciliari, volontari, insieme ai familiari, quando ci sono, formano la categoria dei "care-givers", letteralmente "quelli che si prendono cura". Dalla persona da cui vado per il servizio EmmauS, i "care-givers" sono dodici, di cui dieci esterni alla famiglia; si prendono cura dell'ammalato per il trenta per cento delle ore in cui è sveglio, ma non si conoscono tra di loro. Io penso sia piuttosto utile, per il volontario, avere una visione dell'insieme delle risorse che si occupano della persona che gli viene affidata, soprattutto nella circostanza in cui non ci sia una famiglia che vive con l'ammalato. La prima persona che mi venne affidata viveva da sola, e i vicini di casa furono una risorsa straordinaria, in un momento di crisi personale; poi l'ammalata venne ricoverata in una struttura, e quando morì, non pensai ad avvertire i vicini, i quali mi telefonarono, dopo alcuni mesi, dispiaciuti per essere stati così ingiustamente negletti. Cristina

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