3 ottobre 2008

Essere e non essere

Nell’azienda in cui lavoro, la chiamiamo Nicole, ma non è il suo vero nome. E’ una giovane operaia di nazionalità marocchina, il cui padre è già stato arrestato diverse volte per spaccio di droga, e il fratello è in carcere per avere accoltellato uno. Il caporeparto, di nazionalità tunisina, l’ha rimproverata per una sua inefficienza, e lei lo ha aggredito, graffiandolo a sangue. Poi, ha preso una spranga di ferro, è uscita e gli ha distrutto la macchina, sfondando il cofano, e rompendo il vetro in mille pezzi. Davanti al direttore di produzione, ha detto al caporeparto che il padre lo avrebbe ucciso. Il caporeparto è andato alla polizia a sporgere denuncia, e il poliziotto di turno gli ha chiesto perché gli stranieri non siano capaci di regolare da soli le loro questioni. Sono due giorni che il caporeparto non torna a casa perché, la notte stessa, in cui è accaduto questo fatto, il padre della ragazza gli ha telefonato, minacciandolo di morte. I colleghi italiani, commentando la vicenda, dicono tutti di non essere come questi stranieri, sempre pronti a menare le mani; dicono anche, di non essere razzisti; ma che cosa siamo, veramente, di fronte a questi fatti, nessuno lo dice. Ho notato, da tempo, che il nostro linguaggio è cambiato: le persone, almeno qui dove lavoro, dicono spesso di non essere qualcuno, ma è molto raro che dicano quello che sono veramente. Nel periodo delle elezioni, si intuisce che molti sono schierati a sinistra, ma si preoccupano sempre di affermare più la loro avversione nei confronti dello schieramento opposto, che di dire cosa veramente sono, quale persona sostengono, o quale progetto politico approvano. Io penso che questa incertezza nel dire chi siamo, sia certamente dovuta al fatto che non vogliamo assumerci le responsabilità che il dichiarare di essere qualcuno implica, ma sia anche un sintomo della nostra confusione sociale, perché oggi è come se ci trovassimo in mezzo ad un guado: da una parte, abbiamo la società del passato, certamente sbagliata, dove però ognuno sapeva esattamente chi era e conosceva il proprio ruolo; sull’altra riva, abbiamo la società ideale, dove gli uomini vivono in pace, fraternità e uguaglianza, società che però nessuno oramai crede più di poter realizzare: e noi siamo qui in mezzo e, a volte, non riusciamo nemmeno più a dire chi siamo. Cristina

2 commenti:

Gianpietro ha detto...

La situazione che descrivi ha del paradossale. Riesco solo ad ipotizzare che Nicole sia impazzita, oppure che abbia subito violenza da parte del caporeparto. Diversamente non so capacitarmi di una reazione così spropositata. Nel merito del "non essere" hai ragione, è più facile dire cosa non si è che affermare in cosa ci si identifica. E credo che sia anche normale, oltre che prassi da sempre esistita. Alla luce di una situazione, di un comportamento, di un’affermazione che non si condivide, o dalla quale non ci sentiamo rappresentati, è normale dissociarci affermando "io non sono così". D'altronde non riesco ad individuare un momento, un'epoca, nella quale "... ognuno sapeva esattamente chi era e conosceva il proprio ruolo ..." e non credo che il tuo riferimento possa essere alla piramide sociale con al vertice il sovrano ed alla base i servi della gleba e con cambiamenti di stato che costituivano un evento più che raro. Tieni presente che schierarci in negativo lascia aperte tutte le possibilità di scelta, che verrebbero invece escluse quando si privilegia un’opzione ben precisa. Spesso sono poi i comportamenti, e non tanto la loro descrizione, che ci identificano e fanno si che gli altri possano dire: "ecco da che parte sta!", magari sbagliando, il più delle volte. In quanto alla società ideale il cartello stradale mi sembra abbastanza eloquente ... dimenticavo di precisare che la distanza è espressa in anni luce. Gianpietro

Cristina ha detto...

La società del passato, a cui mi riferisco, è quella pre-industriale, dove le classi sociali sono rigidamente divise, tanto è vero che un matrimonio, tra due classi diverse, è un grande scandalo, soprattutto nella società inglese. Oggi abbiamo tante possibilità, ma sembriamo totalmente incapaci di cogliere l’occasione favorevole, il kairós, di “essere”, o meglio, consideriamo occasioni favorevoli, opportunità meschine come la partecipazione ad uno show televisivo, il guadagno facile di soldi con il “gratta e vinci”, il fare politica per averne dei vantaggi personali. Ogni giorno, ci troviamo, come Ercole, di fronte al bivio, ma la nostra scelta è sempre la stessa: la mediocritas. Di fronte alla vicenda di cui ho parlato, abbiamo la possibilità di essere “madre” o ”padre, persone “buone, generose e coraggiose”, ma non la cogliamo. Questa ragazzina, per quel poco che ci è concesso sapere e che lei stessa ci ha fatto capire, è vissuta finora in una famiglia, dove quelli che vengono ritenuti torti, vengono affrontati con la violenza: quando ha sfondato la macchina del caporeparto, gli ha detto che il padre avrebbe fatto la stessa cosa con lui, affermazione che il padre stesso ha confermato, nella telefonata che ha fatto subito dopo. La ragazza ha ricevuto una sospensione cautelare, è stato avviato un procedimento penale, e, se, attraverso il suo legale e il rappresentante sindacale, non fornirà motivazioni plausibili, verrà licenziata. Rimane la possibilità di una mediazione, forse. Darle un’altra possibilità, ma occorre toglierla da quel reparto, trovare un capo servizio che l’accetti nel suo, faccia un percorso insieme a lei, l'ascolti, la segua, con tutto quello che comporta. Io mi sono già trovata in una situazione simile, ma molto meno grave. Mi hanno chiesto di prendere una persona che creava conflitto ovunque, me lo ha chiesto l’azienda, come favore personale, ho accettato, accolto questa sfida con entusiasmo, e fallito, perché mi stono stancata subito. Cristina