23 ottobre 2008

La gratitudine

Guardo stupita il mendicante che mi ringrazia e mi benedice, per avergli dato qualche moneta: la gratitudine è qualcosa che oggi non siamo più abituati né a dare, né a ricevere, essendo diventati tutti piuttosto rivendicativi. Si va in chiesa, luogo per eccellenza del rendimento di grazie, per ricevere invece un servizio: essere ascoltati, se non da Dio, almeno dal parroco. Se il servizio non è all’altezza delle nostre aspettative, ci lamentiamo, dimenticando che la Chiesa è il popolo di Dio, e quindi siamo tutti noi. Anche il nostro far parte di un’associazione di volontariato manca spesso della consapevolezza che siamo noi, a dare contenuto e sostanza a questa organizzazione, e anziché lamentarci che il trattamento che riceviamo non è quello che avremmo desiderato, dovremmo contribuire a renderlo migliore, se necessario, compensando le mancanze che abbiamo creduto di trovare. Anni fa, ho lavorato per una società americana che ha lasciato a casa tutti i dipendenti, per spostare la produzione in oriente. Poi, questa società ha riaperto, grazie ad un’operazione finanziaria complicata, all'intelligenza di un anziano imprenditore, che ha creduto e investito in questa azienda, e all’opera instancabile di una sindacalista straordinaria, che è riuscita ad avere il supporto di tutte le risorse del territorio. A nessuno dei lavoratori che hanno ripreso il lavoro, è mai venuto in mente di ringraziare qualcuno, tanto meno l’imprenditore, di cui oggi si parla soltanto come di uno che è riuscito a fare un grande affare. E’ pur vero che l’interesse personale determina gran parte delle nostre azioni, ed è quindi legittimo pensare che, mancando questo, nessuno muoverebbe un dito, ma invece di pensare sempre al vantaggio che il nostro prossimo può ottenere da una buona azione, io penso che ringraziare sia una bella consuetudine, che ci abitua, se non altro, a non dare sempre tutto per scontato. Cristina

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