5 ottobre 2008

Distanze

Mi è capitata tra le mani una pubblicazione di EmmauS del 1999, frutto di una giornata di studio tra gli associati, con la presenza di vari esperti a diverso titolo. Ho trovato molto interessante conoscere un po' di più questa associazione, di cui faccio parte da molti anni, senza molti contatti, limitandomi a svolgere il servizio che mi hanno affidato. Una cosa che non sapevo, è che i gruppi si formano all'interno della parrocchia, ed essendo così presenti sul territorio nel quale agiscono, hanno più possibilità di conoscere il bisogno. Le comunità parrocchiali mi hanno sempre attratto, come un oscuro e irraggiungibile oggetto del desiderio, e ho sempre invidiato molto la fraternità che mi ispirano, una fraternità forse a volte un po' litigiosa, come in tutte le famiglie, ma non per questo meno attraente. La mia unica esperienza parrocchiale è piuttosto recente ed è stata un clamoroso insuccesso. Mi ero avvicinata con molto entusiamo, mettendoci un grande impegno, e ne ero anche stata ricambiata con affetto e fiducia a tal punto che, dopo poco, mi avevano persino eletta nel consiglio pastorale di quella parrocchia. Trovavo, però, quelle riunioni un po' noiose, ripetevano sempre le stesse cose, e cose, a mio avviso, di nessuna importanza. Per me c'erano questioni ben più importanti, molto più urgenti, in un cammino di fede, e la comunità stessa faceva molta pressione perché su certi punti si facesse chiarezza, per capire meglio dove stavamo andando. Alcuni mi chiesero di portare al consiglio i loro dubbi, le loro perplessità, sostenevano che io avessi la lealtà, la franchezza e i modi giusti per farlo. Il mio intervento fu pacato, corretto sotto l'aspetto dottrinale, rispettoso dal punto di vista umano, sicuramente disinteressato sotto l'aspetto dei vantaggi personali, e sincero. Tutto questo non venne apprezzato, non fu mai perdonato e, soprattutto, nessuno mi chiese di restare. Cristina

2 commenti:

Gianpietro ha detto...

Per far si che le lampadine si accendano non è sufficiente possedere un interruttore. Occorrono cavi bastanti per numero, lunghezza e calibro affinchè si adattino a ciascun individuo. E' noto che chi ascolta sa già cosa vuole sentirsi dire e, anche se attento, cercherà dapprima di piegare le parole al suo bisogno, non riuscendoci si opporrà ad esse e finirà con l'odiare chi le pronuncia. Credo, inoltre, che le sedi del cambiamento siano sempre più lontane dal mondo ecclesiastico, qualunque livello vogliamo considerare. Gianpietro

Cristina ha detto...

In effetti, mi trovo meglio nelle relazioni con una o due persone. Quelle di gruppo sono molto più complesse. Cristina