4 ottobre 2008

dipendenza e motivazione

In questo blog abbiamo toccato più volte il tema della “dipendenza” (senza alcun riferimento alle sostanze!) e, collegato a questo, il tema della “motivazione”. Chi assiste un malato grave, o un disabile non autosufficiente, finisce, inevitabilmente, con il trovarsi stretto nella morsa di questi due sostantivi. Ed è chiamato a compiere delle scelte. Quando nel percorso della propria esistenza una persona si trova a “dipendere” totalmente dagli altri, e non in senso metaforico, ecco che appare denudato ed alla mercé del prossimo, finendo vittima, a volte, dell’ignoranza, della burocrazia, dell’ottusità di chi non li vede come persone bisognose, ma come oggetti, da gestire con il minimo dispendio di energie. Ed è facile trovarsi di fronte a porte sbarrate. Farsene carico richiede allora una “motivazione” che può esprimersi a differenti livelli. Al gradino più basso della scala pongo il servizio del volontario. Un impegno limitato a poche ore, praticamente privo di responsabilità, tutelato da una struttura collaudata e nella consapevolezza di poter contare su comode vie di fuga. Poco più sopra vi sono i servizi. Quelle strutture, mobili o permanenti, che hanno la loro ragion d’essere proprio nel venire incontro ai bisogni fisici e psicologici di chi è “dipendente”. Tra questi non mancano persone che sanno andare oltre la semplice routine professionale, ma è già motivo di soddisfazione incontrare chi si limita a svolgere con correttezza il proprio compito. Nella parte alta della scala pongo i componenti il nucleo familiare che ruota intorno al malato/disabile. Sono persone che si sentono investite di un compito (spesso codificato dalle norme, o dalle consuetudini): persone che si fanno carico dei problemi quotidiani, per tutto il tempo che serve e garantendo forme di tutela senza le quali risulterebbe a rischio la sopravvivenza stessa della persona “dipendente”. Nessuno meglio di loro sa dare il giusto valore a gesti che, tanta è l'abitudine, non prendiamo nemmeno in considerazione. Piccole azioni che ci appaiono normali, in quel contesto possono risultare di vitale importanza. E se in certi momenti lasciano che rabbia e rancore esplodano di fronte all’indifferenza, o al menefreghismo, ne hanno ben d’onde. Solo chi, momento dopo momento, si confronta con le problematiche legate all’assistenza di un malato, sa che non potrà mai abbassare la guardia, non dovrà mai passare sopra quelli che riconosce come dei torti fatti a chi non può difendersi, anche se questo può significare mettere in gioco la propria immagine. Non tutti sono capaci di farlo e chi si tira in disparte non va giudicato, ma chi riesce a trovare questa “motivazione” merita tutto il nostro rispetto. Gianpietro

3 commenti:

Anonimo ha detto...

e si mi toccano da vicino queste parole. ne userò di molto semplici e dal cuore.
dalla mia esperienza di famigliare di una persona disabile stò imparando davvero tanto.
ho imparato a fare i conti con la mia rabbia,con i miei dubbi, ho imparato a suddividere le responsabilità fra me stessa e i miei genitori dai quali (forse) ho ereditato mio fratello con la sua malattia, ho imparato che la mia libertà la sento a volte sacrificata solo sul piano fisico
ma non è la libertà di gestire il mio tempo senza intralci alcuni che mi interessa.mi interessa essere serena e consapevole che la dipendenza che ci lega nasce sempre dall'urgenza dell'amore, mi interessa riconoscere e accettare i momenti di "stanca" , mi interessa riconoscere quando ho bisogno di aiuto e individuare chi mi può allungare la mano,
mi interessa garantirgli fin che posso il suo diritto a vivere a casa sua, mi interessa insegnare alle mie figlie che la malattia e la diversità fa parte della normalità, che si può passare la vita sulla sedia a rotelle e ridere.mi interessa riconoscere che la vita che abbiamo è stupefacente e abbondante.
in realta i diversi siamo noi se solo fossimo talmente liberi dalla paura e cambiare la prospettiva.
ti devo contraddire gianpietro si puo abbassare la guardia; ho imparato a farlo da quando ho iniziato a fidarmi, a chiedere aiuto, da quando ho individuato che da sola non potevo farcela. riconosco il valore di quelle ore di volontariato e le benedico! mi permettono di cambiare completamente ruolo e non trascinarmi al lavoro la preoccupazione del famigliare ammalato,
di essere concentrata e trarre soddisfazione e beneficio dalla mia professione.
forse non è contemplato il dialogo in questo blog fra volontari e famigliari a carico?
non so ma colgo l'occasione per esservi grata e riconoscente.
sempre a cuore aperto!

Gianpietro ha detto...

volontari, familiari, assistiti ... curiosi, chiunque senta di poter dare un contributo di idee e riflessioni è benvenuto. Aspetto solo che tu completi la procedura di registrazione per poter leggere non solo i commenti, ma anche nuovi post. Gianpietro

Cristina ha detto...

Se avete contatti con altre associazioni di volontariato che trattano la malattia, proporrei di estendere anche a loro l'invito. Magari lasciando un semplice volantino, alle loro segreterie. Sarebbe utile formare una rete di volontari, con diverse specializzazioni. Cristina