5 febbraio 2012

La ricompensa di un grazie

Nel post “La ricompensa”, del 2 febbraio, Cristina si chiede (e ci chiede) se “procederemmo in questo cammino di solidarietà se non esistesse davvero nessuna ricompensa al nostro impegno” e nel farlo accomuna il “servizio” individuale alla “organizzazione” di riferimento che necessita di risorse economiche per la sua sussistenza. Mi permetto di dissentire. Premesso che si può svolgere attività di volontariato anche senza aderire ad una organizzazione, il farne parte tuttavia porta evidenti vantaggi sia per il volontario che per i destinatari (non credo sia il caso di farne un elenco in questa sede). Limitandoci a considerare solo gli enti che operano con correttezza e nel rispetto, sia delle norme di legge, che dei principi di solidarietà, più complessa è l’organizzazione più consistenti sono i bisogni di natura economica. Si va dagli affitti, alle spese telefoniche, ai premi assicurativi, ai costi di stampa, agli onorari dei professionisti esterni; componenti di costo che sono già tipiche di piccole associazioni come EmmauS, fino a strutture transnazionali quali Medici senza frontiere o Emergency con gli impegni logistici, immobiliari e professionali che si possono immaginare. In tutti i casi si tratta di attività che implicano l’impiego di denaro e questo si ottiene da quote associative, da donazioni, da finanziamenti pubblici e da contributi volontari. L’importante è che nulla di questo flusso di denaro, che può raggiungere anche valori significativi, costituisca fonte di lucro, o venga distratto dalle finalità per le quali è stato raccolto. Si, certo, le associazioni di volontariato ottengono somme di denaro e queste saranno tanto maggiori quanto più meritorio sarà il servizio svolto. Ma questa non è una “forma di ricompensa”, qui siamo di fronte a “sostegni all’attività” senza i quali l’organizzazione non potrebbe nemmeno far fronte agli obblighi di legge. O dobbiamo pretendere che i fornitori di servizi si attivino gratuitamente se il richiedente è una associazione di volontariato? Partecipare alla vita delle associazioni, curandone l’organizzazione e garantendone la trasparenza è meritorio al pari del servizio svolto sul campo. Vi si può essere portati o meno, in ogni caso non credo proprio che possa costituire "ostacolo all’espansione delle coscienze". Il volontario può essere soggetto alla tentazione di ricevere (rifiuto l’idea che possa pretenderla) una ricompensa, ma questa potrà venire dall’attività sul campo, non certo dall’interno dell’organizzazione di appartenenza. Ho assemblato sul post di Cristina l’immagine del bilancio di EmmauS con quella della confezione di marmellata. Il primo ha consistenza monetaria, il secondo è fatto di affetto e di riconoscenza. Rifiutare la confettura (se non sollecitata e se non diviene abitudine) non è sinonimo di gratuità, ma solo di maleducazione. Seguo da anni un gruppo di ragazzi in una attività di teatro/danza e a fine corso realizziamo uno spettacolo che portiamo in scena laddove ci viene richiesto. L’estate scorsa siamo andati a rappresentarlo in un quartiere di Bologna. Al termine la regista voleva che accettassi una quota del compenso ricevuto dall’amministrazione comunale organizzatrice “a titolo di rimborso spese”, “non ho avuto spese, sono venuto sul mezzo della comunità”, “si ma hai impegnato il pomeriggio e la serata”, “è il tempo che ho deciso di mettere a disposizione del gruppo e per quello non esiste una tariffa”. Fine della tentazione. Ma la vera tentazione, subdola perché siamo noi stessi a sollecitarla sta nel sentirsi “più bravi degli altri”, nell'avvertire l’orgoglio che cresce dentro, fino a farci disprezzare chi non si impegna nel sociale. Questa si che va riconosciuta e combattuta perché se siamo arrivati a quel punto vuol dire che non c’è più amore in ciò che facciamo e se manca l’amore viene meno l’unica fonte di soddisfazione che è concessa al volontario. Se vogliamo parlare di vera gratuità dobbiamo fare riferimento, non tanto al denaro che, lo ripeto, non può entrare in gioco, quanto al piacere di sentirsi dire un grazie, all’aspettativa di un apprezzamento per il servizio svolto. Si tratta di tentazioni? Si, certo, e non vanno ricercate. Ma anche un bel voto o un complimento ogni tanto rappresentano per lo studente un viatico per meglio affrontare le difficoltà (e tutti noi sappiamo quanto siano facili da incontrare nel nostro servizio). L’importante è il grazie che ci nasce dentro, ma accettare la ricompensa di un grazie che ci viene dall’esterno può essere segno di umiltà, così come il respingerlo o il rifuggirlo può significare superbia. Gianpietro

3 commenti:

Paolo ha detto...

Seguo da qualche tempo questo interessante blog , pur non appartenendo al mondo del volontariato e pur non essendo un cattolico praticante.
Quello che a me interessa particolarmente è la ricerca interiore, sia essa psicologica o spirituale, e questo è il motivo per cui frequento il sito e leggo i post.
Vengo però all’argomento trattato e mi domando se sia lecito aspettarsi delle ricompense di qualsiasi tipo. Precisando subito che non intendo fare alcuna polemica, ma esprimere soltanto un’opinione, che è evidentemente per sua natura soggettiva. E quindi aggiungo che non pretendo neppure di avere ragione né di voler convincere nessuno.
Credo molto semplicemente che tutti noi non dobbiamo attenderci alcun ringraziamento quando agiamo rettamente, amorevolmente o per il bene degli altri. Nel Vangelo mi pare particolarmente illuminante a questo proposito la parabola dei dieci lebbrosi. Gesù li guarisce tutti, ma uno soltanto gli è grato. E gli altri nove ? Non c'è niente da fare : chi si aspetta gratitudine o ricompense andrà incontro ad amare delusioni . Meglio non aspettarsi nulla, e trovare in noi quella pace e quella serenità che ci derivano dall'aver agito rettamente e in conformità al nostro modo di essere e di sentire. Potranno anche venire queste “ ricompense” , ma ciò è del tutto secondario né deve essere il motivo che ci spinge ad agire.
E vorrei aggiungere un’altra considerazione che a prima vista potrebbe apparire paradossale : la gratitudine o l’apprezzamento spesso potranno venire addirittura da estranei che non hanno ricevuto nessun bene da noi, e non da chi ha beneficiato del nostro operato . Ma anche questo ha una spiegazione logica perchè, una volta messa in modo una vibrazione ( l'amore, la comprensione, la dedizione e via dicendo nascono innanzitutto all’interno di noi stessi e sono vere e proprie vibrazioni dell’anima ) non sappiamo chi l'avvertirà o chi risponderà. Questo perché la vibrazione si può assimilare molto grossolanamente a un suono, o meglio a un ultrasuono che non viene percepito da tutti ma solo da particolari soggetti e in particolari circostanze.
Un caro saluto a tutti i partecipanti.

Gianpietro ha detto...

Non ho nulla da aggiungere o da modificare a quanto scritto da Paolo, se non invitarlo a registrarsi come autore di post e non più come semplice lettore. Se vuoi aderire all'invito contattami all'indirizzo che trovi sulla home page. Gianpietro

Paolo ha detto...

Grazie di cuore, Gianpietro. Ma preferisco ascoltare più che parlare . E in questo momento sono abbastanza affaccendato. Ma più in là chissà…..
Ancora un saluto.