18 febbraio 2012

Sulla morale

Non c’è parola che la mia generazione abbia detestato di più della morale, assimilandola al moralismo dei benpensanti e a un passato del quale ci si doveva liberare, per un futuro di libertà, pace e giustizia. Certamente, oggi, godiamo di una maggiore libertà morale, ma penso che forse abbiamo ancora le idee un po’ confuse al riguardo. Alcuni pensano che la morale sia il rispetto della legge, dimenticando che non potrà mai essere una maggioranza di governo a stabilire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, ma deve essere la coscienza, come d’altra parte sosteneva Thoreau, nel suo trattato “Disobbedienza civile”: la legge va rispettata, ma se è ingiusta e contraria alla coscienza, bisogna fare di tutto per cambiarla. Altri pensano, invece, che la morale alla quale devono attenersi sia solo quella della loro coscienza. Ma in questo modo le cose si complicano, perché è chiaro che se gli uomini devono stare insieme, bisognerà mettersi d’accordo, perché la morale di uno può essere diversa da quella di un altro e le due morali possono entrare in conflitto tra loro. Nella storia del pensiero, c’è stato allora chi ha separato la morale, definendola individuale, dall’etica, come insieme dei costumi e delle usanze che gli uomini decidono insieme, per andare d’accordo. Ma è chiaro che anche morale individuale e morale comune devono per forza trovare un equilibrio, altrimenti si avrebbero degli individui schizofrenici e nevrotici. Penso dunque che anche nella morale, come per la libertà, occorra stabilire una gerarchia. La morale più alta ha sede nella coscienza dell’individuo e non può che essere libera e rivolta al suo bene e alla sua felicità. A un livello inferiore, c’è la morale comune, che è comunque regolata da quella superiore, ma della quale quella superiore dovrà necessariamente tenere conto. Cristina

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