7 febbraio 2012

La rinuncia

I mistici come S. Giovanni della Croce dicevano che non bisognava possedere niente, per potere avere tutto, e così, la rinuncia ai beni terreni, che non durano, è sempre stata un requisito importante per chi aveva invece fame e sete di assoluto. Ma l’educazione alla rinuncia è stato anche un punto fermo della educazione laica, almeno fino alla prima metà del secolo scorso. Si narra che a Montaigne, nato in una nobile famiglia di mercanti nel ‘500, il padre offrisse un'educazione secondo i principi dell'umanesimo e che venisse inviato, per questo, a balia in un povero villaggio, perché si abituasse “al modo di vivere più umile e comune”. La nostra generazione è invece cresciuta nella illusione, alimentata da una società dei consumi, che deve continuamente produrre nuovi bisogni, per poter sopravvivere economicamente, che si potesse avere tutto. Abbiamo dovuto invece imparare, a nostre spese, che tutto non si può avere e ci si è posti così il problema della scelta consapevole. Rinunciare ai figli o alla carriera? Rinunciare a una vocazione che poteva portarci lontano da casa o al matrimonio? Qualunque fosse la decisione, però, abbiamo avuto la libertà della scelta e questo, rispetto alle generazioni precedenti, che non l’hanno avuta, è stato un progresso, anche se forse non ci ha procurato la felicità. Il giornalista Enzo Biagi diceva che un tempo c’erano scelte obbligate, ma qualche volta capitava di essere più felici di oggi, anche se all’uomo sembra ora essere concesso tutto per il raggiungimento della sua felicità. Nasce allora la domanda se la rinuncia sia un valore oppure soltanto una necessità. Io tendo a pensare che la rinuncia sia un valore a patto di sapere, però, a cosa vogliamo rinunciare e quale ne sia il vantaggio, perché una rinuncia fine a se stessa, o vantaggiosa solo per un ipotetico aldilà, non avrebbe certamente molto senso. D’altra parte, il desiderio è tra gli elementi dinamici della personalità che muovono in avanti la nostra vita, senza i quali non ci sarebbe per noi nessuna crescita, e quindi non va rimosso, né represso. Ma se analizzassimo bene i nostri desideri, scopriremmo che la maggior parte di essi non nascono nell’intimo del nostro essere, ma vengono indotti dall’esterno. Ecco allora la sofferenza e la frustrazione di non poter appagare questi desideri, che però non sono i nostri. Occorre allora ritirarsi nell’intimo più profondo del nostro essere e liberarci il più possibile dalle influenze esterne, per trovare quello che veramente desideriamo e vogliamo e concentrarci solo su quello, per farlo diventare realtà. Nel rapporto, però, che abbiamo con persone che soffrono una situazione di disagio e di privazione di beni materiali, non possiamo certamente metterci a disquisire intorno a quello di cui pensiamo potrebbero fare senza, perché sarebbe come mettere addosso agli altri pesi che noi stessi non siamo in grado di sopportare o, se li sopportiamo, è perché abbiamo compiuto un certo percorso, che non è detto che loro abbiano voglia di fare. In molti casi, poi, i veri educatori sono proprio quelli che sono riusciti a realizzare la loro felicità e i loro sogni, pur essendo privi di ciò che a noi, un tempo, sembrava invece indispensabile. Cristina

2 commenti:

Maria Maddalena ha detto...

Io credo sia più corretto parlare di "distacco dalle cose terrene" piuttosto che di "rinuncia". Il distacco infatti è un guadagno, non una perdita. Lasci il possesso delle cose e trovi la possibilità di goderle di più. Possesso e godimento non sono la stessa cosa. Puoi godere guardando un bellissimo albero anche se è fuori del tuo giardino. Certo non puoi farne ciò che vuoi. Ma il godimento non sta nel fare delle cose ciò che si vuole.

Cristina ha detto...

Capisco quello che vuoi dire. Sì, nella prospettiva indicata anche da Fromm, l’uomo appartiene alle due modalità di essere o avere: “un "avere" deve possedere un fiore, lo coglie, lo fa suo; un "essere" ne contempla la bellezza, godendo di questo, percependolo per immaginare altri orizzonti.”
Ma gli esempi che ho in mente io – il successo, la carriera, la notorietà, solo per citarne alcuni – implicano una scelta logica e filosofica e non soltanto una modalità esistenziale, come l’essere o l’avere.