2 gennaio 2009

Contributo alla riflessione sul testamento biologico

Oggi ho ascoltato la registrazione di un incontro che si è svolto il mese scorso nella nostra città, dove don Giovanni Nicolini ha voluto offrire il suo contributo alla riflessione sul testamento biologico. Dice che, su questo argomento, sono tre le considerazioni che, a suo avviso, occore fare. Prima di tutto, che il progresso tecnologico e la cultura, cioè la nostra capacità di comprenderlo, non vanno di pari passo, perché mentre il primo procede velocemente, la cultura richiede tempi più lunghi, e se non rispettiamo questi tempi, rischiamo che il progresso usi noi, invece di essere noi ad usarlo e, soprattutto, si finisce per irrigidirsi in posizioni dogmatiche e inutili. La seconda considerazione è che il testamento biologico, per il quale lui è comunque favorevole, è l'espressione di una grande solitudine: ha ricordato che un tempo, al suo paese, quando moriva qualcuno, la gente si raccoglieva davanti alla porta di casa, aspettando il prete, che veniva con tutti i paramenti sacri, e diceva formule come: "Proficisce", che significa "Puoi partire": era il commiato di chi in terra pregava il cielo di accogliere colui che stava per morire; e la morte diventava così una liturgia. Oggi, molto spesso, la morte viene vissuta in solitudine e di nascosto, e da qui il bisogno di lasciare scritto che cosa si deve fare, perché in quel momento forse non ci sarà nessuno che lo potrà fare per noi. La terza riflessione è che, mentre noi stiamo a discutere se accettare o no la morte in modo naturale, tremila chilometri a sud, in Africa, non c'è niente di tutto questo; ci sono, invece, persone che potrebbero vivere, ma muoiono per malattie, a volte banali, perché non ci sono soldi per comprare i farmaci. E allora forse sarebbe bello che ci fosse anche una legge che ci consentisse di rinunciare a cure costose e inutili a favore di chi, in questi paesi, ha malattie curabili, ma non ha i soldi per curarsi. Io penso che il grande merito che hanno avuto, fin dall'inizio, quelli che si sono fatti promotori di una legge sul testamento biologico, sia stato quello di averci sollecitato a riflettere sulla nostra morte, questo orizzonte della nostra vita che dovremmo sempre tenere presente; e ascoltando tutte le discussioni che ci sono state quest'anno su questo argomento, credo che con queste riflessioni siamo tutti cresciuti un po' e che la gente comune, e non lo penso solo io, sia diventata molto più matura e responsabile per prendere una decisione, di quanto non lo siano i vertici della Chiesa e dello Stato, che continuano a fare della vita e della morte una questione di potere. Cristina

1 commento:

Gianpietro ha detto...

Accetto l’invito alla riflessione e prendo a riferimento il primo dei tre stimoli proposti da Cristina, che analizzo in modo parzialmente diverso dalla nostra amica. La prima considerazione, che si lega alla chiusura del post, pone in risalto la differenza esistente nei tempi di sviluppo della tecnologia rispetto a quelli necessari alla cultura per compiere lo stesso percorso. Nelle ultime righe, tuttavia, Cristina ritiene che la gente comune abbia già acquisito conoscenze sufficienti per prendere una decisione su una materia dai risvolti culturali, etici e tecnologici tanto delicati quanto avanzati.
Io penso che il progresso non abbia mai rispettato una progressione temporale lineare. Le civiltà si sono sviluppate in prevalenza secondo criteri geografici ed una volta giunte al culmine sono rapidamente regredite, specie se oggetto di conquista militare da parte di altri popoli più arretrati. I secoli bui, il medioevo europeo, non sembrerebbero rispondere ad alcuna logica se messi a confronto con lo splendore della Roma imperiale. Gli esempi non mancano: dall’arte alla meccanica, dall’edilizia alla cultura. Eppure sono bastati meno di due secoli di continue invenzioni (‘800-‘900) per dare un impulso davvero esponenziale allo sviluppo tecnologico (ed in particolare a quello sanitario).
Ciò sta a significare, a mio avviso, che le capacità intellettive sono sensibili a sollecitazioni non lineari e di conseguenza anche la cultura sociale può adeguarsi con rapidità al mutare del contesto, favorita dalla diffusione delle informazioni e dalla possibilità di accedere ad esse da parte di un sempre più vasto strato della popolazione. Questo, tuttavia, non significa anche il contemporaneo e generalizzato raggiungimento di una adeguato livello di comprensione. Ritengo pertanto che rimanga fondamentale il ruolo di chi, vantando le giuste competenze, dovrebbe proporre le migliori soluzioni. Peccato che le due principali istituzioni preposte non sembrino dimostrarsi all’altezza. Gianpietro