20 gennaio 2009

Il Piccolo Principe e l'età dell'innocenza

(pag. 3) I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegare tutto ogni volta.
Il bambino di questo libro mi ha fatto pensare ad un’età, non solo anagrafica, che è quella dell’innocenza, caratteristica dei bambini di un tempo e forse anche dei pazzi. Nello sviluppo formativo di tutti i bambini, c’è comunque un punto, di non ritorno, in cui smettono di parlare ai grandi delle cose che per loro sarebbero più importanti, perché tanto gli adulti non capirebbero. Per me, è stato intorno ai dodici anni, quando i miei genitori hanno incominciato a vedere pericoli ovunque e, anche se i veri malintenzionati erano sempre soltanto pochi squilibrati, mi hanno insegnato a guardare con sospetto tutta l’umanità. Per fortuna, non mi hanno condizionato, perché continuo a vedere in chi fa del male qualcuno che ha un po’ più bisogno di aiuto degli altri; ma la comunicazione vera, quella del cuore, con i miei genitori, a quel punto, si è interrotta per sempre. Nei bambini di oggi, forse, si ferma ancor prima, con qualche eccezione. Quattro dei miei nipoti frequentano una scuola ispirata a metodi educativi umanistici e non nozionistici, che non prevede bocciature o altri rallentamenti fino all'adolescenza. I genitori, per poter stare più vicino ai figli, non hanno esitato a mettere nel cassetto diplomi di laurea e master e a svolgere lavori manuali. I bambini non hanno giocattoli, non studiano sui libri; non fanno vacanze esotiche, ma solo allegre scorazzate sulle colline e montagne intorno a casa e della vita di animali e piante conoscono il più piccolo segreto. Quando vengono a casa mia, mi sembrano alieni appena sbarcati e la loro curiosità verso di me e la mia, per loro, strana vita, mi intimidisce e rende sempre la conversazione un po’ stentata. Il bambino de "Il Piccolo Principe" me li ha ricordati. Cristina

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