5 gennaio 2009

La notte oscura

L’utilità del dolore è sempre stato un tema a lungo dibattuto, soprattutto dalla speculazione cristiana che, in S. Giovanni della Croce e Edith Stein, per citarne solo alcuni, vede addirittura la sofferenza come partecipazione volontaria alla passione di Cristo, e purificazione dell’anima, che vuole unirsi totalmente a Dio, in modo permanente.
Nella mia esperienza, non saprei davvero dire se il dolore sia mai servito a qualcosa o se, invece, mi abbia reso peggiore di quella che sarei potuta essere, in una vita senza. Quello che possiamo certamente dire è che è quasi impossibile vivere una vita intera senza fare questa esperienza. Credo, quindi, si possa parlare di necessità, prima che di utilità. Parlare di utilità del dolore con gli ammalati gravi, o quelli che hanno subito una grave perdita, o quelli che stanno facendo un’esperienza di depressione, è sempre un grave errore: provoca irritazione e, giustamente, ribellione. Una discussione sul dolore si può fare solo con chi ha già superato questa fase di scoraggiamento e, in qualche modo, è già riuscito ad attraversarlo. È un discorso che si può fare solo a posteriori. Sulla mia esperienza del dolore, posso allora dire che, tutte le volte, la guarigione è incominciata nel momento, che S. Giovanni della Croce chiama della ‘notte oscura’, in cui ci accorgiamo che quel buco nero, che abbiamo dentro, non è un vuoto desolante, ma un cuore palpitante, che incomincia a sentire, di tanto in tanto, il tepore di una fiamma che lo scalda: può essere l’amore per qualcuno, ma anche la compassione, la pietà per il mondo che ci circonda, oppure il godimento per la bellezza del creato. E’ una fase poco stabile, in cui diversi sentimenti, spesso contrastanti, si alternano: serenità, pace, poi ancora depressione, sfiducia, mancanza di senso, ma già si avverte che non sarà per sempre. Cristina

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