29 giugno 2008

Finale di partita

Devo solo impiegare il tempo in attesa della morte”. Questa è la risposta che mi sono sorpreso a dare a chi mi chiedeva quali programmi avessi per la giornata. Nelle intenzioni era solo una battuta, a volte mi vengono alla mente. Ma sono stupito di averla detta, non di averla pensata. Di solito simili considerazioni le tengo per me, al più le annoto, ma non le comunico. Allora ci ho riflettuto. Era vero? Se ero arrivato a parlarne superando il filtro della riflessione significava che era meglio fermarsi, rifletterci su. L’elenco delle cose da fare, delle scadenze, dei piccoli e grandi impegni è lungo. Prendo appunti in continuazione, ho foglietti sparsi dappertutto. Una volta tenevo tutto a mente, ora devo avere sempre l’agenda sotto mano. Allora ho tante cose da fare! Non è vero che ho del tempo da perdere! No, le cose stanno in modo diverso. Le mie azioni sono solo mosse di attesa. Il re è nell’angolo e attorno c’è un gran movimento di pezzi che sollevano polvere, fanno confusione, ben sapendo però che la battaglia è persa, che è solo questione di tempo. Quando lavoravo sapevo di doverlo fare per garantire entrate bastevoli per assicurare alla famiglia il pane, il companatico e qualche extra per tutti i componenti. Era l’impegno maggiore, rispettato il quale potevo, a buon diritto, sentirmi soddisfatto. Ma oggi? Sono pagato per non lavorare e così ogni altro modo di impiegare la giornata deve inventarsi nuove motivazioni. E quali? Risolvere, o, per meglio dire, accettare continui compromessi con i piccoli, fastidiosissimi e sempre uguali problemi di relazione quotidiana? Quelli sono i pedoni che, lenti, si trascinano per la scacchiera verso una linea di meta irraggiungibile, fermandosi a testa china davanti ad ogni pezzo avversario. Inutili fintanto che questi non cedono loro il passo. Fare delle letture, scrivere, coltivare amicizie, occuparmi di arte, di cultura? Quelli erano i nobili cavalli dalla ricca criniera, oggi ridotti a ronzini ansimanti che saltellano come pupazzi di cartapesta su giostre impazzite, in un continuo tornare sui propri passi senza costrutto e lungi dal conseguire risultati apprezzabili. Impegnarmi attivamente nel volontariato, sia socio-assistenziale, che socio-educativo? Quelli sono i due alfieri, scelta tardiva, alibi messi in gioco e che tagliano veloci svuotate diagonali lungo binari che non decido né controllo, regalandomi l’effimera illusione di essere utile. Armature lucenti allo sguardo, ma sostanza di latta. Affidarmi alla religione? La mia triste, disperata regina che tante volte ha fatto da scudo al re, proteggendolo coi suoi dogmi e le sue ferree certezze, ma che ora è scesa dalla scacchiera sacrificata sull’altare della ragione. Irrimediabilmente sconfitta dalla logica e dal buon senso, ma ancora viva ed operosa nei suoi tanti dettami. Anche la sicurezza che mi dava il lavoro, le mie amate torri, è stata spazzata via. Le ho scambiate in nome della libertà, convinto che la loro forza si stesse trasformando in oppressione soffocante e ancora non so se fosse maggiore la protezione che offrivano, o la vista che mi toglievano. Il re è solo, confuso, nell’angolo. Irrimediabilmente sconfitto, come questo blog.
Gianpietro

3 commenti:

Cristina ha detto...

Quando più o meno consapevolmente si parla di morte, non necessariamente si intende la morte fisica. Più verosimilmente ci si riferisce al passaggio verso una fase diversa della vita che il nostro inconscio desidera. Io credo che tutta la nostra esistenza sia piena di queste fasi diverse, il cambiamento è sempre un po’ traumatico, ma necessario. Prendere consapevolezza che c’è questo desiderio significa che siamo già in cammino. Anche per quello che riguarda questo blog, si è pensato fosse uno strumento utile per un confronto tra i volontari, ma non lo è stato. Si troverà un sistema diverso. Cristina

Gianpietro ha detto...

Le considerazioni che ho riportato nel post, oltre ad afferire alla sfera personale (e di questo chiedo venia) volevano essere lo specchio del mio stato d’animo attuale e la considerazione finale sul blog mi è uscita dalla penna in modo spontaneo e irriflesso. Naturalmente le trasposizioni ed i parallelismi sono sempre possibili e concordo sul fatto che il più delle volte non è alla morte fisica che ci si riferisce, ma a mutamenti di stato, a fasi diverse (evolutive a volte, involutive più spesso) dell’esistenza. Apprezzo anche l’ottica positiva che metti nella lettura del cambiamento, ma nelle mie parole non credo si possa leggere alcunché di “desiderato”, semmai una presa d’atto indifferibile. Ed è per questo che assomiglia tanto ad una resa. Gianpietro

Cristina ha detto...

La mia scelta iniziale di un servizio rivolto agli ammalati terminali non è stata casuale. Attraversavo un momento difficile in cui tutto mi sembrava vuoto e privo di senso. Trovavo i consigli degli altri irritanti e diffidavo ancora di più di coloro che li davano per professione. Sentivo un bisogno profondo di pace, ma anche di cose vere, di rapporti reali e non quelli sempre un po’ falsi che avevo nelle mie relazioni un po’ per educazione e un po’ per ipocrisia. Ho pensato che questa pace e questa sincerità si potesse trovare soltanto di fronte alla morte. Solo in seguito ho precisato meglio questo bisogno, che era quello di un’anima che aveva sete di una vita più spirituale di quella che avevo fatto fino ad allora. I nostri percorsi sono tutti personali e diversi, quindi non me la sentirei mai di dare indicazioni, però solo un avvertimento: i messaggi che ci manda la nostra anima non sono sempre chiari subito, possono essere facilmente equivocati, o possono anche sembrare senza senso, sentiamo un disagio, ma non sempre siamo capaci di interpretarlo correttamente. Cristina