1 maggio 2008

Elì, Elì lemà sabactàni?

La morte nella mia famiglia è sempre stata vissuta come un evento normale: da generazioni si nasce e si muore nel proprio letto, i figli hanno seppellito i padri e non viceversa, e certi parenti si vedono solo per i funerali e poi spariscono in città e percorsi di vita diversi. La separazione da chi muore viene sentita con dolore, un sentimento però che non è molto diverso da quello che si prova quando un amico va a vivere altrove: ci mancherà, ma è la vita. La morte invece di cui non riesco a darmi pace è quella delle vittime innocenti della follia dell’uomo, dei genocidi, delle stragi, dell’odio razziale, vittime anonime da cui per generazioni abbiamo distolto lo sguardo senza fare niente, e delle quali ci dimentichiamo sempre troppo in fretta. Il volto di quelle vittime mi toglie il sonno, è come se mi chiamassero a non continuare a guardare altrove, a fare qualcosa. Ma non mi viene in mente niente. E allora prego quel Dio che non ha obbedito a chi gli diceva di scendere dalla croce e di salvare se stesso, ma è rimasto fino in fondo, per essere accanto a tutte le morti drammatiche del mondo e in quello che spesso chiamiamo il suo silenzio rivelarsi nella pienezza del suo essere divino, che è quella di essere presente. Cristina

4 commenti:

Gianpietro ha detto...

Hai introdotto un tema per me particolarmente stimolante. Ho volutamente posto l'invocazione del Cristo a didascalia dell'immagine scelta e che mi inorridisce per la drammaticità della mano della madre che cerca di alleviare le sofferenze di un essere che appare ben al di là della soglia dell'esistenza. Ma prima di adagiarmi nella risposta consolatoria che poni a chiusura del post, vorrei approfondire il tema della teodicea. Vedrò di scrivere un apposito topic chiedendo il contributo di chiunque senta di poter dire qualcosa in merito. Gianpietro

Cristina ha detto...

Per me la preghiera è il momento contemplativo di fronte a Dio in cui mi arrendo, riconoscendo il limite delle mie forze di fronte a un mistero così grande come quello della sofferenza. Non c'è ancora la consolazione, è il momento dell'angoscia che mi fa chiedere aiuto, ma nella preghiera c'è anche la speranza che prima o poi Dio risponda al mio cuore. A Dio si chiede la pace del cuore, ma anche la forza di fare quello che lui vuole che noi facciamo in questa vita. Ma se non ci mettiamo in silenzio davanti a lui e se non attendiamo questa risposta non lo capiremo mai.
Cristina

Gianpietro ha detto...

La tua è una delle possibili risposte alla domanda "perchè esiste il male?", ma non è la sola. Arrendersi di fronte al limite dell'umano, sperare che la preghiera insistita sia la chiave per ottenere risposta e nell'attesa tacere, è un segno di profonda fede e di accettazione dell'inconoscibile. Spero che altri aggiungano la loro voce. Gianpietro

Cristina ha detto...

Sulla domanda 'perchè esiste il male?' penso che ormai ci sia ampio accordo da parte di molti sul fatto che ha a che fare in qualche modo con la libertà dell'uomo. Su questa domanda personalmente non mi soffermo, mi interessa di più conoscere qual è la mia parte in questo mondo dove il male si alterna al bene e a volte è tragicamente mescolato.
Cristina