1 aprile 2009

Meditazioni di bioetica

Ho iniziato ieri sera un percorso di formazione dal titolo “Meditazioni di bioetica”, sottotitolo “Per una bioetica non gridata”. Il tema di discussione della prima lezione ha preso spunto dal caso di Eluana Englaro, e la sfida che ha posto il docente Paolo Dordoni, professore di filosofia teoretica, è di vedere se sia possibile arrivare ad un accordo sui temi etici, tra individui che hanno esperienze e modi di pensare diversi. Su questo caso, dice, non è stata possibile una vera discussione, perché nessuno di noi è riuscito a mettere insieme la ragione, la scienza (la testa) con la coscienza, il sentimento (la pancia). Il dialogo non è mai cominciato perché nessuna delle parti è riuscita a comprendere le ragioni dell’altra, così si è finito per lasciare ad altri la decisione, in questo caso alla politica, che però non possiede un suo modo di ragionare, perché il politico fa soltanto un’operazione di marketing: fa un discorso rivolto ad ottenere consenso, che non deriva da un ragionamento. Qual è allora il percorso che dobbiamo fare per sviluppare una decisione e non lasciare che invece decidano gli altri, come di fatto succede ogni giorno? Ci ha invitato a percorrere questo caso in tre tappe, che ha chiamato: "il percorso del diritto", "una frattura" e "dentro al dilemma". La parte giuridica ha occupato molto tempo, perché le sentenze sono state diverse: dalla prima, con esito negativo, fino all’ultima, che è di trentatre pagine. Sono tutte sentenze molto interessanti, attraverso le quali il docente ci ha mostrato il modo di ragionare del diritto: le paure, i dubbi, le incertezze, le ipotesi. Si è verificata una frattura, perché il nostro modo di pensare, quando l’altro non è d’accordo con noi, è che sia malato, abbia un problema, o sia in malafede e le sue ragioni siano ideologiche. Al punto indicato come “dentro il dilemma”, ci ha interpellato e chiesto di dire se pensiamo che il tutore, da una parte, e i curanti, dall'altra, possano avere avuto, oltre ai problemi, anche delle buone ragioni, perché la discussione incomincia solo quando riusciamo a vedere anche le buone ragioni dell’altro. Arrivati a questo punto, però, ci ha mostrato che c’è il rischio di parlare solo delle motivazioni che supportano l’una o l’altra tesi e di rimanere dentro il dilemma. Una discussione vera ci porta a lasciarci interrogare dalla vita dell’altro e uscire dalla discussione diversi da come ci eravamo entrati. Non è una discussione vera, quella in cui ognuno espone la sua opinione, poi se ne torna a casa e rimane della sua idea, irrigidendosi nella posizione di partenza. Una vera discussione, invece, ci porta al cambiamento e, finalmente, ad agire secondo “scienza e coscienza”. Cristina

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