12 aprile 2009

La fiammella

Sappiamo che quando la malattia, o la grande vecchiaia, bussano alla porta, la realtà diventa più che mai difficile. Per E., grande anziana, e per A., sua figlia, sono state esperienze dure da accettare sotto tanti aspetti. Questo disagio che da otto anni si era abbattuto sia sul fisico che mentalmente, essendo compromesse molte facoltà, ha disturbato profondamente il carattere forte della malata. E. di ciò ha molto sofferto e ne è sempre stata, suo malgrado, consapevole. Dopo una vita piena di attività e di vicissitudini, ha scoperto di dover dipendere dagli altri e di non essere più in grado di provvedere ai propri bisogni. Avere bisogno e non essere più autonomi, è stato detto, è la più grande paura degli italiani e ciò viene ancor prima della paura della morte. È quindi molto difficile per tutti accettare tali situazioni, poiché si tocca con mano la fragilità dell’esistenza umana. Per E. che, nonostante i troppi limiti, con forza smisurata, cercava quella autonomia che le era negata, è stata una sofferenza che è sempre aumentata nel tempo. Ho notato che in questi casi è molto difficile anche fare assistenza poiché c’è diffidenza da parte della malata che non ascolta, non parla quasi più, si legge soltanto nei suoi occhi ancora vivi la disperazione. Nei primi tempi c’è stata forse la curiosità per una voce nuova, la sensazione di una persona amica (e questo è già gran cosa), ma con la progressione della malattia non si può pretendere che una fiammella possa rischiarare il buio più profondo. Da parte mia ho pensato però che se il recupero era problematico per una persona di tale gravità, era necessario uno spostamento di persona, anche se in questi casi il problema coinvolge talmente il familiare da renderlo tutt’uno con il malato. Sono convinta, anche per esperienza personale, che per una figlia specialmente, la situazione diventi difficile perché l’angoscia della madre è reattiva e colpisce emotivamente provocando infiniti disagi. Quindi da parte mia, pur essendo stata partecipe con A. per il carico che doveva sostenere quotidianamente, ho cercato di distoglierla da questo “chiodo fisso” parlando semplicemente della mia vita quotidiana, lavorativa, estendendo poi il discorso su altre situazioni di attualità. È stato detto che da una sola parola può germogliare il seme della speranza. Il famigliare “crolla”, si chiude in se stesso. A questo modo ho notato progressivamente la gioia nell’accogliermi in ogni momento per cui è nato un rapporto di fiducia reciproca, grande comprensione e stima. In questo mio lavoro di volontariato ho soprattutto capito che ogni situazione di malattia è diversa e perché “la fiammella diventi un grande fuoco” bisogna studiare il modo migliore e far leva, come meglio si può, sul percorso più adeguato da seguire. In questo caso direi di esserci riuscita. Carmela

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