13 settembre 2008

i nostri saperi

Nel percorso di formazione 2008 rivolto ai nuovi volontari è prevista una “tavola rotonda” dal titolo “i nostri saperi: competenze e caratteristiche del servizio EmmauS” alla quale parteciperemo (al momento) Laura Morellini ed io. Più che di tavola rotonda direi che si tratterà di una chiacchierata a due stante le defezioni intervenute a vario titolo. In attesa di eventuali input sui temi da sviluppare, ho riletto i testi degli interventi effettuati nei corsi del 2005 e 2006. Mi sono sembrati quanto mai attuali. I temi che ho trattato (e che qui sintetizzo) hanno riguardato:
i limiti - l’inquadramento dell’attività del volontario entro i binari fissati da una organizzazione comporta la definizione degli ambiti, delle regole e delle responsabilità. E’ facile che il nuovo volontario si faccia prendere dalla fretta di scendere in campo, sia per superare la paura del primo impatto, sia per soddisfare il proprio ego con un segno tangibile di onnipotenza. E’ da mettere in conto l’ansia di far sapere in giro che si va ad assistere un anziano o un disabile sentendosi già al livello del missionario votato agli altri. Non mi pare superfluo allora rammentare che entrare in una casa per due ore la settimana significava soprattutto restarne fuori per altre 166, impegnando così una percentuale del proprio tempo pari all’ 1,2%. Un rendimento inferiore ai tassi di mercato di qualunque strumento finanziario, anche di basso profilo.
la capacità di adattamento – il volontario teme di dover dare prova di quanto vale per poter essere accettato. Nella pratica invece si trovano ambienti molto aperti, accoglienti e che non richiedono forzature. Ciò, tuttavia, non esclude l’esperienza del rifiuto. Ogni nucleo familiare ha una storia a noi non nota e vive su equilibri talvolta molto delicati. L’unico atteggiamento che ci è concesso è di umiltà e di accettazione. Non si può inoltre escludere a priori che si manifestino delle forme di gelosia, delle ritorsioni per disponibilità negate. Possiamo sentirci rinfacciare di riversare sull’assistito le attenzioni che non prestiamo nel nostro ambito familiare. Non sempre infine la domanda formalmente espressa corrisponde all’effettivo bisogno latente. Si tratta in questo caso di limiti legati alle aspettative, talvolta divergenti, tra l’assistito ed i suoi familiari. Per il volontario l’ancoraggio al compito offre tranquillità, ma occorre avere fantasia e la disponibilità ad attuare modifiche in corso d’opera, cercando di valorizzare le potenzialità residue del nostro assistito.
la comunicazione – è possibile che aspettative e disponibilità non si incontrino ponendoci in una situazione altalenante tra il sentirsi inadeguati, o del tutto sprecati. Talvolta le aspettative non saranno immediatamente riconoscibili per la difficoltà ad esplicitarle, causa anche l’indisponibilità di strumenti di comunicazione omogenei. In questo caso occorre essere consapevoli della diversità, senza farla pesare. Non va modificato il piano della relazione, né va preteso il riscontro di un attraversamento di campo.
andare oltre il ruolo – il rapporto che si instaura presso la persona assistita tende, col tempo, a toccare le corde della familiarità, finendo con il portare il volontario su di un terreno sul quale sente di volersi addentrare, in quanto persona fatta di sentimenti e di emozioni, ma che richiede di essere gestito e coordinato dall’organizzazione che ci rappresenta e della quale, in quel momento, siamo portavoce.
gratuità – dando per scontato che il volontario non deve essere retribuito per il servizio che fornisce (lo prevede lo statuto e lo impone l’etica), va detto che la gratuità non si esaurisce nel rifiuto di un corrispettivo economico, ma include le stesse aspettative di gratificazione del volontario. Rifiutare l’assaggio di una fetta di torta, o il vasetto di marmellata fatta in casa, non significa mostrarsi disinteressati, ma solo maleducati. Occorre tuttavia porre attenzione a non trasformare certe piccole attenzioni in un fatto dovuto e continuativo, poiché si finirebbe con l’innestare un meccanismo dal quale risulterebbe poi difficile uscirne. Ma la gratuità significa soprattutto accettare di sentirsi male al termine del servizio, quando invece ci si aspettava di uscirne ricaricati. Va messa in conto la possibilità di non avere il ritorno atteso, ed anzi provare delusione e rancore verso una scelta che sembra mostrarsi inadeguata. Gratuità, significa soprattutto non aspettarsi un grazie, un elogio, una citazione.
modestia – permea tutti gli aspetti sin qui citati ed implica la capacità di donare sapendosi adattare alla situazione prospettata, con tutta l’umiltà della quale si è capaci, con la modestia di chi sa di non sapere e nella consapevolezza che non si ha né il diritto, né il titolo per imporre la propria presenza, o le proprie convinzioni. Può succedere infatti che il volontario venga visto come il tecnico dal quale ci si aspetta la soluzione dei problemi. anche di natura medica. Occorre ricordare che un nostro parere, un: “… per me farei …“, oppure: “… io la vedo così …” può essere letto come il consiglio di un esperto. Questo non è il nostro ruolo. Occorre molta cautela ed umiltà, consapevoli che durante quelle poche ore siamo degli ospiti, disponibili, ma educati, rispettosi e che sanno adattarsi alle esigenze della casa che ci accoglie.
Pur con queste attenzioni, non dobbiamo avere timore a dare, dare e dare.
“Scegli la strada che nel cuore è scritta,
seguila e in fondo poni la tua vita.
Vesti umiltà e di speranza scarpe.
E d’ogni giorno fai che sia preghiera.”

Gianpietro

2 commenti:

Cristina ha detto...

All'inizio, devo ammettere che ho avuto qualche resistenza a seguire il corso di formazione. Penso che una delle ragioni principali fosse una certa avversione ad affrontare il servizio in modo tecnico e professionale. Inutile dire che poi, invece, tutte le istruzioni ricevute mi sono state molto utili. Qualche riserva, però, ce l'ho ancora per una certa tendenza che hanno alcuni a calcare i toni, e questo, a mio avviso, spaventa un po' i futuri volontari. Io penso che il servizio vada fatto con consapevolezza, ma soprattutto con la semplicità delle cose ordinarie di tutti i giorni. Ho notato che ci si dedica più facilmente al servizio dopo che si è lasciato il lavoro, nell'età della pensione. Mi è capitato invece di vedere, in una circostanza particolare, una giovane mamma che aveva addirittura portato con sé i suoi bambini, quattro, i quali con serietà, ma anche con grande naturalezza, svolgevano delle piccole incombenze, istruiti dalla madre. Cristina

Gianpietro ha detto...

Concordo sull'esigenza di operare con semplicità e naturalezza. Il corso iniziale deve tuttavia fornire input che rimangano impressi nel tempo e che, all'occorrenza, aiutino il volontario a compiere le scelte migliori a fronte di situazioni impreviste. Converrai con me che la frequentazione ordinaria cancellerebbe messaggi superficiali, o impressi senza la dovuta enfasi. Calcare la mano nella fase iniziale può sembrare fastidioso, ma a lungo andare torna utile. Sulle attitudini dei pensionati non so che dirti, essendo parte in causa; ma l'immagine della mamma con i quattro bambini è grandiosa! Gianpietro