21 settembre 2008

Il mendicante

Tempo fa, un'amica mi raccontò che un giorno, mentre passeggiava con il marito, in una via del centro storico di Roma, vide un signore molto distinto, con tanto di sciarpa e cappotto di cammello, andare loro incontro e, tendendo la mano, chiedere l'elemosina. Stupito, il marito incominciò a chiedergli come mai, per quali circostanze, cause o imprevisti, si trovasse in quella situazione, e perché chiedesse dei soldi. L'uomo rispose soltanto: "Perché ne ho bisogno". Questa risposta mi viene sempre in mente quando, di fronte ad una richiesta di aiuto, che presupporrebbe solo un si oppure un no, divaghiamo, perdendoci in considerazioni superflue e, talvolta, anche un po' meschine. La domenica, per il silenzio che c'è nella strada e nella casa dove abito, mi piace dormire fino all'ultimo minuto e, così, finisco sempre, come questa mattina, per arrivare trafelata e di corsa dalla famiglia, da cui sono attesa per il servizio di EmmauS. Entrando in casa, racconto, ridendo, un espisodio al quale ho assistito venendo qua, e che mi ha divertito, ma mi fermo subito, fulminata dalle occhiate severe, che tutti mi lanciano. Il marito, con grandi gesti delle mani, mi fa segno di abbassare la voce e, venendomi vicino, mi sussurra all'orecchio che il figlio, questa notte, ha fatto le ore piccole con gli amici, e se lo svegliamo potrebbe arrabbiarsi. Mi metto a preparare la colazione, stizzita. Dopo un po', però, mi passa, e mi vergogno anche del mio malumore, perché, in fondo, se vengo in questa casa, non è perché chi vi abita è perfetto, ma perché ne ha bisogno. Cristina

2 commenti:

Gianpietro ha detto...

D'istinto, tutte le mie antipatie vanno al figlio nottambulo. Poi convengo con te sul bisogno, ma lo leggo in riferimento non alla famiglia nel suo complesso, quanto alla signora che stai assistendo (inglobando nel tuo caso anche il marito). Con i congiunti della persona che seguo credo di avere instaurato un buon rapporto che ormai va oltre il servizio prestato ("a prescindere" come direbbe Totò). Non è ancora capitato, ma se avvenisse, credo che terrei ben distinta la relazione che mi lega all'assistito da quella che intrattengo con gli altri componenti la famiglia. Gianpietro

Cristina ha detto...

Si, penso che sia corretto fare così. Io sono soprattutto contenta di aver seguito l’istruzione, che mi era stata data, di non giudicare mai con l’assistito i suoi familiari. Sono quindi rimasta in silenzio ad ascoltare, una volta che mi spiegava che la figlia, sposata, non lavora, perché il marito ha la disponibilità finanziaria per questo, ma non può assistere la madre, e viene soltanto per coprire qualche assenza del volontario di turno, perché molto impegnata con la propria casa, molto grande, il giardino, e altre simili incombenze familiari. Più avanti, però, mi ha confessato la sua delusione di madre, e tutto il resto. Le mie osservazioni sarebbero state superflue, perché, a volte, le madri cercano di dare un’immagine migliore dei figli che hanno, ma nel loro cuore sono le prime a vederne le mancanze, e non c'è nessun bisogno che altri gliele facciano notare. Cristina