3 settembre 2008

Erica, la speranza

Il servizio che svolgo all’hospice è un po’ diverso da quello a domicilio, e consiste principalmente nell’accoglienza dei visitatori. Anche se può sembrare strano, succede abbastanza spesso che i familiari degli ospiti di questa casa continuino, anche in seguito, a tornare di tanto in tanto. Questo ci fa conoscere le loro storie, e vedere come, a volte, gli avvenimenti della vita si ricompongono in un modo che, quando eravamo nel dolore, mai avremmo pensato. Erica è una sgambettante bimbetta, nata un anno esatto dalla morte della sorella di cui porta il nome. Erica grande, una diciannovenne dalla incontenibile gioia di vivere, nei giorni in cui non stava bene, se ne stava sdraiata con il cucciolo di Labrador, che le era stato permesso tenere in stanza, accucciato ai piedi del suo letto; ma non appena stava meglio, si faceva portare in paese per una passeggiata e tornava, da quelle brevi esplorazioni, felice, come chi torna da un viaggio meraviglioso. Io penso che un po’ di quella gioia di vivere l’abbia trasmessa ai genitori dando loro la forza di concepire una nuova vita. Il poeta francese Charles Péguy, in un poema interamente dedicato alla speranza, scrive: “Tirata, appesa alle braccia delle sue sorelle più grandi (fede e carità ndr), che la tengono per mano, la piccola speranza avanza. E in mezzo alle due sorelle grandi ha l’aria di farsi tirare.Come una bimba che non avesse la forza di camminare. In realtà è lei che fa camminare le altre due” (da Il portico del mistero della seconda virtù). Cristina

4 commenti:

Gianpietro ha detto...

Nietzsche considerava la speranza il peggiore dei mali, perché essa continua a tenere gli uomini sulla corda, ad illuderli, quindi ad ingannarli. Inoltre la speranza proietta la vita in un futuro incerto, precario, chimerico, distogliendo gli uomini dal vivere qui ed ora in modo intenso. Non a caso la speranza era contenuta nel vaso di Pandora, vaso da cui si sprigionarono tutti i mali che affliggono l'umanità. Alla speranza ci aggrappiamo non per vivere, ma per sopravvivere. Solo in una vita sorretta da una fede tetragona la speranza si identifica in: "uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto" (Paradiso, Canto XXV). Troppo spesso la speranza si confonde con l'illusione e l'illusione è un gioco, etimologicamente, quindi un inganno, rischiando così di trasformarsi in un velo che copre gli anni, il tempo trascorso e quello futuro, come un sudario. Gianpietro

Cristina ha detto...

La speranza è una tensione verso qualcosa. Il suo contrario è la tentazione del nulla, per cui niente ha senso, e tutto è inutile, pensiero al quale quasi nessuno è totalmente estraneo. L’uomo si muove costantemente tra queste due tensioni, ma quello che sta in mezzo è tutto importante: una catena di cui si tengono i capi ben saldi tra le mani, e nessuna delle maglie va persa. La speranza, più di tutti gli argomenti, è qualcosa che si sperimenta. L’amore, ad esempio, è fonte di speranza: quando sei innamorato, prendi tutto dell’amore, la gioia, il dolore, e mai potresti rinunciare a un solo attimo, e tornare indietro verso il nulla. C’è una commedia teatrale, di non so chi, sulla Genesi, dove Adamo ha deciso di uccidersi, perché Dio gli ha detto quale futuro lo aspetta: guerre, tribolazioni, e alla fine la morte. Meditando il suicidio, si va a coricare accanto ad Eva, e in quel momento scopre che è incinta, e che lui vuole vivere. Cristina.

Gianpietro ha detto...

Dici bene. Speranza è: "tensione verso qualcosa", attesa viva e fiduciosa di un bene futuro. In teologia è la virtù per la quale si attende con fiducia la vita eterna e il soccorso della grazia divina per ottenerla. Più prosaicamente è il riconoscimento di un bisogno che si coniuga con l'ipotesi, remota fin che si vuole, di poterlo soddisfare. L'alternativa è rassegnazione, l'accettazione passiva degli eventi, la rinuncia a leggervi segnali diversi da quelli imposti dalle leggi di natura. La scelta di Adamo (uccidersi) sarebbe andata in questa direzione. Quell'uomo di fede ha ottenuto la risposta che ogni religioso va cercando. Dio gli parla e spiega ogni cosa del futuro che non conosce. E nel farlo gli nega la speranza; non redenzione, non rinascita, non vita eterna. Ma guerre, tribolazioni e morte. Non conosco la commedia (tragedia direi), nè l'autore, ma quello che descrivi ha il sapore dell'inganno, della crudeltà sadica di volere imporre ad un'altra creatura una vita senza speranza visto che a confermarlo è stata l'autorità suprema, incontestabile. Esiste tuttavia un'altra spiegazione. La rilevazione giunge ad Adamo dopo che il figlio è già stato concepito. In questo caso sopprimere il nascituro (e con lui l'unica possibilità di sviluppo della razza umana), seguita dal suicidio, sarebbe stata, a mio avviso, la scelta più razionale. L'alternativa (prescelta dall'autore) può avere molteplici spiegazioni. Atto d'amore verso Eva, desiderio di garantire una fonte di sostentamento e di protezione verso il figlio, debolezza di Adamo, incapacità di sostituirsi a Dio, orgoglio paterno, senso di onnipotenza e sfida verso il Creatore e la sua rivelazione ...
Credere in un Dio ha senso solo se si vuole alimentare una speranza, altrimenti Dio non serve. Gianpietro

Cristina ha detto...

Si dice che l’uomo sia un essere fragile e confuso, che da solo inevitabilmente si perde. Se poi si affida a Dio nella speranza di una gloria futura, è chiaro che rischia di vivere da illuso. La speranza, come ormai la intendo io, contiene invece già in sé stessa il suo realizzarsi, qui e adesso. Ho sentito qualcuno parlare di “teologia della caparra” e mi sembra una buona definizione. Il perdono, ad esempio, se autentico, perché oggi si abusa un po’ di questa parola, credo che spieghi abbastanza bene il significato di questo anticipo della speranza: lo sa bene, chi fa esperienza della pace del cuore, dopo essere riuscito a perdonare. Sono però concetti un po’ difficili, metto in conto che di questo mio balbettare si capisca ben poco. Cristina