24 aprile 2008

Ancora sull'assemblea

Siamo attesi da nuove sfide. Così ci è stato detto. Occorre essere attenti poichè dovremo confrontarci con situazioni nelle quali l’aspettativa di vita sarà lunga, assai lunga. Svolgerete il vostro servizio presso giovani e adulti che avranno davanti 20, 30, 40, 50, 60 anni di attese e di bisogni da soddisfare. Bisognerà sapersi reinventare un ruolo, lavorare di fantasia. Questo il concetto in sintesi. Sinceramente faccio fatica a decifrare il problema. Toccherà a noi lasciare questo mondo prima della persona che seguiamo? Tanti auguri a chi resta. Verrà a mancare la continuità del servizio? L’importante è che questa soluzione di continuità riguardi unicamente il volontario, non la prestazione. Altri subentreranno e non è detto che un cambiamento non sia salutare. Potrebbe anzi portare nuova linfa, nuove sensazioni, rompere cicli diventati monotoni. In fin dei conti guai sentirsi indispensabili. E poi chi siamo noi? Dei taumaturghi? Degli esseri indispensabili per le persone che seguiamo? Teniamo bene a mente che noi siamo quelli delle due ore la settimana, quattro per chi se la sente. Siamo quelli che riempiono tra 1,2% ed il 2,4% del tempo del nostro assistito. Siamo quelli che NON sono con lui per 166 (o 164) delle 168 ore della sua settimana. Altri occupano lo spazio maggiore, a noi toccano le briciole. Inventiamoci pure nuove forme di assistenza, aiutiamo i nostri amici a sviluppare le potenzialità residue, creiamo le occasioni per far loro provare nuove emozioni, nuove esperienze. Non fermiamoci di fronte alle difficoltà, usiamo la fantasia ed il coraggio, ma sempre con i piedi ben piantati per terra. In fin dei conti siamo solo “servi inutili”, l'ombra di una mano stesa, ma che non interrompe lo scorrere dell'acqua. Gianpietro

1 commento:

Cristina ha detto...

Quello che dici mi ha ricordato il primo servizio. Si trattava di una donna in fase di malattia avanzata che per il suo carattere ostile verso tutti aveva fatto il vuoto intorno a sé: aveva rotto i rapporti con il figlio, che viveva all’estero, i vicini di casa, persino con l’assistente sociale. Mi avevano passato questa situazione perché andavano tutti in ferie e nessuno mi aveva lasciato un numero di telefono per contattarli in caso di bisogno. Questa persona mi chiamava in continuazione sul lavoro e ho dovuto riallacciare in qualche modo i rapporti con i vicini di casa, perché da sola non riuscivo a gestire questo servizio. I vicini, che mi erano stati presentati come persone sospettose e ostili, hanno incominciato a istituire dei turni tra di loro e l’hanno assistita fino alla fine.
Cristina