28 gennaio 2013

Shoah


Prima di tutto vennero a prendere gli zingari 
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

(Martin Niemöller 1892-1984)

6 commenti:

Paolo ha detto...

Credo che invece occorra dimenticare .
Almeno la nostra generazione deve dimenticare, mentre i giovani forse devono ricordare quel genocidio perché non si ripeta. Ma quando ripenso a quelle persecuzioni mi prende una tristezza indicibile . Come ieri sera quando ho visto il film di Benigni “ La vita è bella “ , e ho pensato con angoscia a quei giorni che per fortuna non ho conosciuto perché non ero nato.
Giorno della memoria ? Potrà essere importante, ma le memorie spesso, come in questo caso , sono dolorose e da esse bisogna soltanto guarire.

Gianpietro ha detto...

"Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo" (George Santayana)

Cristina ha detto...

“Ricordare” e “dimenticare” possono avere significati diversi. Il non ricordare, quando significa negare una realtà storica, nel caso della Shoa, diventa persino un reato. Il dimenticare, invece, a cui si riferisce Paolo, a mio avviso, è diverso. E’ la volontà di andare avanti, perché non si può restare imprigionati troppo a lungo nel passato, soprattutto quando questo è così doloroso. Gli ebrei ricordano la distruzione del tempio di Gerusalemme, al Muro del Pianto, ricordano la liberazione dall’Egitto, nella notte di Pasqua. Ma la maggior parte di loro non vuole fare memoria della Shoa, perché è un avvenimento troppo vicino, e per poter far memoria occorre del tempo.

Gianpietro ha detto...

Un haiku al quale sono molto legato recita:

Alla memoria,
Per avere ricordo,
Serve distanza.

E una distanza (relativamente) breve può far si che il ricordo sia sovrastato dalle emozioni.
E' questa, forse, una possibile spiegazione di ciò che scrive Cristina riguardo il "rifiuto" del ricordo della Shoah.
Atteggiamento pienamente comprensibile in chi l'ha vissuta sulla pelle del proprio popolo e che necessita quindi di tempi lunghi per sedimentare e metabolizzare sofferenze indicibili.
Può sembrare strano, ma per molti ebrei l'essere sopravvissuti ai campi di sterminio costituiva una colpa tale da indurli, in diversi casi, al suicidio.
Differente è per tutti gli altri, noi compresi (i nostri genitori ne sono stati spettatori diretti, quando non attori), che invece abbiamo l'obbligo di studiare quegli eventi, custodirne la memoria e, soprattutto, trasmetterla alle nuove generazioni.
La storia è piena di nefandezze che si sono ripetute causa anche l'oblio nel quale erano state lasciate cadere.
Non credo possa esistere una data di scadenza al grido "Mai più!"

Cristina ha detto...

Il 27 gennaio (giornata delle memoria) 1945, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa entrarono ad Auschwitz, scoprendo il tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. Ma in Russia, a sua volta, scrisse Aleksandr Isaevič Solženicyn, "Nel massimo del terrore staliniano, nel 1937-1938, se dividiamo il numero di persone assassinate per il numero di mesi, il risultato ci dà 40,000 persone al mese.
La spirale della violenza, a mio avviso, non si interrompe con le celebrazioni, ma con un percorso umano e individuale che dal dolore porti alla pace e non alimenti l’odio, nemmeno verso i carnefici. Ai giovani, credo che vadano mostrate la magia e la bellezza della vita e non l’orrore e quanto sia bello vivere nel bene e con giustizia.

Riporto alcuni versi di Mansur alHallaj (858-922), eminente poeta mistico e teologo mussulmano:

Davanti alla porta del Paradiso un uomo bussò.
Dall’interno gli fu chiesto: “Chi sei?”.
“Sono un ebreo”, rispose.
La porta rimase chiusa. L’uomo bussò ancora.
Dall’interno gli fu chiesto: “Chi sei?”.
“Sono un cristiano”, rispose.
E la porta rimase chiusa. L’uomo bussò di nuovo.
Dall’interno gli fu chiesto: “Chi sei?”.
“Sono un mussulmano”, rispose.
Ma la porta rimase chiusa. Di nuovo l’uomo bussò.
Dall’interno gli fu chiesto: “Chi sei?”.
“Sono un’anima pura”, rispose.
E la porta si spalancò.

Paolo ha detto...

Mi è sembrata molto opportuna la precisazione di Gianpietro nel suo successivo post del 29 gen ore 19,30 nel quale sostiene che “ una distanza (relativamente) breve può far si che il ricordo sia sovrastato dalle emozioni ….. Atteggiamento pienamente comprensibile in chi l'ha vissuta sulla pelle del proprio popolo e che necessita quindi di tempi lunghi per sedimentare e metabolizzare sofferenze indicibili “ . Così come ringrazio Cristina per avere sintetizzato il mio pensiero , aggiungendo che “ la spirale della violenza, a mio avviso, non si interrompe con le celebrazioni, ma con un percorso umano e individuale che dal dolore porti alla pace e non alimenti l’odio, nemmeno verso i carnefici. Ai giovani, credo che vadano mostrate la magia e la bellezza della vita e non l’orrore e quanto sia bello vivere nel bene e con giustizia “. Sottoscrivo pienamente. E aggiungo che nel non voler ricordare le atrocità della storia non si vuole negare la loro realtà né ci si vuole nascondere dietro a un dito. Così come è giusto dire “ Mai più “ . Ma il ricordo può essere inquinante perché così si continua ad aggiungere e a seminare odio mentre la vita deve essere vissuta nell’amore, nella bellezza e nel perdono. Parole difficili da usare di fronte a certi crimini contro l’umanità, ma pur sempre necessarie se vogliamo andare avanti .
Ci vuole molta forza d’animo. Viktor Frankl, fondatore della logoterapia, si salvò dal lager proprio perché aveva una forte motivazione a voler vivere e per salvare un suo manoscritto cucito nella fodera di un cappotto. Se si fosse lasciato andare solo alle atrocità alle quali aveva assistito forse questa forza gli sarebbe mancata. E il suo insegnamento è proprio quello della vita che prevale sulla morte.