27 gennaio 2013

Sono un "baby boomer"


Nei giorni scorsi ho ultimato la lettura del libro di Federico Rampini “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo – manifesto generazionale per non rinunciare al futuro”. Non si tratta di un "vero" libro, ma della ristampa di una serie di brevi articoli già pubblicati sul quotidiano del quale l’autore è corrispondente dagli USA. Articoli tutti inerenti il tema dei cosiddetti “baby boomers”. È un genere di saggistica che non mi attira, sia perchè la forma adottata non offre sufficienti approfondimenti, sia perchè su gran parte delle tematiche sociologiche si può dire tutto ed il contrario di tutto. Tuttavia, rientrando anch’io, seppur di poco, nel range anagrafico che mi classifica come “baby boomer” mi sono posto alcune domande. Ad esempio: perché …
... il significativo innalzamento dell’aspettativa di vita, in termini sia quantitativi che qualitativi, viene considerato una conquista a livello individuale, ma un grave pericolo (e quindi un danno) a livello sociale?
... un sessantenne in buone condizioni (come nella maggioranza dei casi) e con una prospettiva di diversi anni di capacità produttiva viene considerato di intralcio, di ostacolo all’inserimento della generazione successiva nel mondo del lavoro?
... si parla di noi in termini di gerontocrazia, di generazione tappo, ancorata a privilegi anacronistici, consumatori di risorse sociali, mentre mi ritengo fonte di saggezza, depositario di esperienze, possibile guida?
... un rancore così forte nei confronti di padri/nonni apparsi solo una generazione dopo quella, allora rispettata, ma che ha causato l’olocausto della seconda guerra mondiale e subito dopo ci ha riempito il materasso di ordigni nucleari?
... si innalza l’età pensionabile e nel contempo si incentivano le uscite anticipate dal mondo del lavoro di chi non ha ancora sessanta anni?
... le pensioni perdono continuamente potere di acquisto, non venendo adeguate all’inflazione, e nel contempo veniamo colpevolizzati se non compriamo una nuova automobile ogni anno?
... il mercato non offre posti di lavoro per i nostri figli, mentre gran parte degli articoli che acquistiamo reca sulla targhetta la scritta “made in china”?

Adesso cambio genere di lettura. Gianpietro

3 commenti:

Cristina ha detto...

E’ davvero difficile orientarsi in mezzo a tanti paradossi e contraddizioni. Ma credo che, come sempre, ci possano aiutare il buon senso e una buona flessibilità. Sul primo punto, c’è un progresso della medicina, ma anche della cura di noi stessi, che ha portato a migliorare la qualità della nostra vita e anche della nostra vecchiaia, rispetto a un tempo. La nostra generazione ha, in gran parte, potuto lavorare, pagando i contributi previdenziali, per tutta la vita, ed è anche giusto che, all’occorrenza, ci sia un ritorno. Se qualcuno ha fatto i conti sbagliati, non è certo colpa di chi a suo tempo ha versato i contributi.
Quando si parla di gerontocrazia, si critica, a mio avviso anche giustamente, chi ha ottenuto un posto di potere e non lo vuole lasciare, nonostante abbia raggiunto un’età in cui proprio la saggezza dovrebbe suggerire che è ora di farsi da parte per godersi la vita, perché la vita, per fortuna, non è soltanto lavoro.
La riforma delle pensioni è stata una delle tante ingiustizie di uno stato iniquo, che non ha rispettato i diritti acquisiti e oltretutto ha creato una maggiore disoccupazione. Ma anche in questo caso, non si può certo dire che sia colpa di chi avrebbe voluto andare in pensione e deve invece continuare a lavorare.
E per finire, io penso che una automobile possa durare molti anni, se uno ne ha cura, e che non sia affatto vero che la si debba cambiare ogni sei o setti anni, come si diceva un tempo: una buona macchina deve essere fatta per durare a lungo e nella scelta ci si deve orientare verso un modello che consumi e inquini poco e che sia tecnologicamente il più avanzato possibile. Sono le case costruttrici che si devono orientare verso le esigenze dei consumatori e non viceversa.

Gianpietro ha detto...

Temo che “buon senso e buona flessibilità” non costituiscano una risposta sufficiente. Siamo in presenza di una società che in molti casi ha ben tre generazioni che gravano su di noi “baby boomers”.
Abbiamo genitori ottantenni che vanno accuditi e non tutti possono permettersi le rette delle case di riposo, o la badante. Abbiamo poi i figli che faticano a rendersi autonomi e continuano ad incidere sul nostro bilancio, oltre ad occupare quella stanza che speravamo diventasse il nostro studio da pensionati. Se poi abbiamo la fortuna di avere nipoti diventiamo risorsa indispensabile per allevarli, o anche semplicemente custodirli.
Non è quindi solo un problema di riconversione dei contributi previdenziali in sostegno per l’età pensionabile e comunque non è sulla gratuità delle nostre prestazioni che si possono scaricare i costi non calcolati dell’allungamento delle aspettative di vita. In meno di un secolo abbiamo spostato in avanti di almeno 20 anni il giorno della dipartita, ma sembra che nessuno si sia preoccupato delle conseguenze.
Circa il tema dei pensionamenti anticipati trovo scandaloso che le aziende (tutte quelle che conosco lo fanno) spingano i dipendenti ad anticipare l’uscita dal mondo del lavoro regalando anni di contribuzione ed allettanti fuoriuscite, mentre chi ci governa vara manovre che allungano i tempi per l’accesso ai fondi pensionistici. E tutto ciò nell'indifferenza di fondo verso il fenomeno degli “esodati”, che ritengo rappresenti un autentico reato da codice penale.
Da ultimo, il riferimento all’automobile voleva solo essere un esempio tra i tanti. Una pubblicità su tre spinge all’acquisto di nuove auto ed un notiziario su due attribuisce la responsabilità della crisi al crollo degli acquisti di auto. Se l’economia va male è perché la FIAT ha venduto il 20% in meno delle proprie auto: ergo, la colpa è mia che mi ostino a guidare un Doblò vecchio di nove anni, non potendo permettermi di buttare i soldi dalla finestra solo perchè un'azienda (una qualunque, non solo la FIAT) che sottopaga lavoratori di paesi lontani produce cose che non mi servono.

Cristina ha detto...

Il mio giudizio sullo stato, le istituzioni e la società dei consumi è fortemente negativo e questo atteggiamento critico aiuta a non coltivare illusioni che, da quella parte, possa venire qualcosa di buono e a non restare in sterile attesa che le cose possano cambiare, perché temo proprio che non cambieranno mai. Nell’azienda in cui lavoro, non si manda via nessuno e sono ormai tanti quelli che continuano a lavorare dopo la pensione, tanto è vero che ben quattro persone hanno più di settant’anni e hanno semplicemente cambiato il rapporto di lavoro da dipendente a consulente.
Una scelta che non condivido, ma che fa comunque parte della libertà di ognuno di scegliere come vivere. Da parte mia, ho invece valutato la possibilità di un pensionamento anticipato, con riduzione dell’importo, ma poi vi ho rinunciato proprio pensando che adesso quella cifra sarebbe sufficiente a coprire il costo della vita, ma nella eventualità che io raggiungessi l’età di mia madre, non lo sarebbe più, quindi ho fatto la scelta di ritirarmi dal lavoro, quando avrò maturato il massimo dei contributi, perché non avendo altre rendite occorre essere previdenti e mai avrei fatto una scelta così rischiosa, come quella dei cosiddetti esodati, che si può fare solo se si può disporre di adeguate coperture e non, per esempio, in una famiglia mono reddito.
Avere un anziano da assistere, poi, può anche non essere la cosa più desiderabile del mondo, perché certamente limita la nostra libertà, ma è nella natura delle cose che dei figli debbano occuparsi, a loro volta, dei genitori, quando sono anziani e non sono più autosufficienti. Mi chiedo allora perché un tempo questo fatto venisse considerato normale e adesso invece diventa un dramma. Non è certamente per il protrarsi della vecchiaia, perché adesso si è anziani a una età in cui i nostri nonni erano già passati a miglior vita e, fino a quel momento, si è generalmente in salute e si è anzi utili alla società e alla famiglia.
Quando ero bambina, era normale avere i nonni in famiglia e spesso, almeno nella classe lavoratrice dalla quale provengo, questi non avevano né rendita né pensione. Le mamme cominciavano a lavorare nelle fabbriche o negli uffici statali, le nonne tenevano la casa e accompagnavano a scuola i bambini, i nonni andavano alla posta, a pagare le bollette, o a fare la spesa. Poi, verso gli ottanta se ne andavano e noi figli più piccoli eravamo contenti, perché potevamo finalmente disporre di una camera da letto tutta nostra. Adesso, con tante più risorse e aiuti anche dalle istituzioni, come permessi e congedi dal lavoro, pensioni di invalidità e aiuti domestici, che un tempo non esistevano, si vive tutto questo come una tragedia e non ho ancora capito bene perché.