22 aprile 2012

Come si esce dalla via della crescita illimitata

“Quale che sia il vostro livello intellettuale o emotivo, capire di che cosa potete fare a meno è uno dei mezzi più efficaci per convincervi che siete liberi. […] Proviamo a rinunciare a qualcosa, non per abbellire la nostra vita, ma per ricordare a noi stessi quanto siamo attaccati a questo mondo moderno così com’è, e come potremmo tuttavia farne a meno.”(Illich e Cayley, La corruption du meilleur engendre le pire)
I teorici della decrescita sostengono da tempo che se la società dei consumi ha prodotto inizialmente benessere per molte persone, la sua crescita non sarà illimitata, come non saranno illimitate le risorse del pianeta, che ha continuato a utilizzare, senza alcun senso della misura. Paradossalmente, dall’arricchimento e dal benessere iniziale, si passerà all’impoverimento della maggior parte delle persone, provocando disperazione, miseria e suicidi. Chi è vissuto, finora, con il pensiero che questo destino sarebbe toccato alle generazioni successive oggi viene messo di fronte a questa tragica realtà dalla crisi mondiale, causata dai mercati finanziari, perché il fatto determinante e caratterizzante di questa società della crescita illimitata è che la vita dell’uomo non viene regolata da valori come la felicità, l’amicizia, la solidarietà, il bene comune, ma dall’economia. E’ sotto gli occhi di tutti che è l’economia oggi a orientare le nostre vite e a livello teorico questo era il pensiero sia del capitalismo, ma anche di Marx, che affermò il principio che è “l’economia che muove la storia”, mentre per i teorici della decrescita, come Latouche, Castoriadis, Ivan Illich, Nicholas Georgescu-Roegen, André Gorz, solo per citarne alcuni, le  nostre vite devono essere regolate da altro. Il primo presupposto per la decrescita è l’uscita dalla società dei consumi, ma perché questo non provochi frustrazione, deve essere un atto gioioso e libero. Occorre, allora, osservare come agisce la società dei consumi, per obbligarci a consumare sempre di più e quello che vuole.

Latouche indica tre pilastri del sistema consumistico che sono: la pubblicità, che crea il bisogno di consumare, il credito che fornisce i mezzi per consumare anche a chi non ne ha la possibilità immediata mediante l’indebitamento, l’obsolescenza programmata, che prevede il rinnovamento continuo del prodotto di consumo. La prima domanda che dobbiamo porci sarà dunque: è possibile far fronte in qualche modo all’assalto di questi tre pilastri? Per il credito, penso sia facile: basterebbe acquistare per contanti solo quello che è nelle nostre possibilità e tralasciare il resto. Non è facile restituire carte di credito e bancomat, perché le banche e tutto il sistema cercheranno di rendere la cosa difficile, ma basterà aprire il conto in una banca vicino a casa e scegliere un conto a costo zero per i prelievi. Più difficile evitare la pubblicità, che ormai agisce anche in modo subdolo, senza quasi che ce ne accorgiamo ed entra nelle nostre case, attraverso la televisione, interrompendo programmi, in continuazione. La pubblicità si può solo contrastare non acquistando, per esempio, i prodotti che maggiormente hanno invaso la nostra vita. Sulla obsolescenza programmata, invece, temo si possa fare poco: escono continuamente software che rendono i vari dispositivi obsoleti e bisogna cambiarli. L’unico rimedio, al momento, che ho potuto adottare è stato quello di acquistare un computer di una marca non conosciuta e poco pubblicizzata, che costava un terzo di quello di prima, con le stesse prestazioni e adeguato all’utilizzo che ne dovevo fare. Naturalmente, non è possibile esaurire un argomento tanto importante per la nostra vita personale e sociale con un solo post e vorrei scriverne altri, se ci sarà l’interesse a svilupparlo con i vostri commenti e le vostre esperienze personali. Cristina

10 commenti:

Paolo ha detto...

Hai fatto molto bene, Cristina, ad aprire un post sulla decrescita, argomento del quale attualmente si parla molto anche a causa dei saggi di Latouche che in tanti stanno leggendo. Discorso che però viene da molto lontano e include vari autori che hai ricordato ( Castoriadis, Ivan Illich, Nicholas Georgescu-Roegen, André Gorz e altri , senza trascurare Thoreau e Tolstoj, veri e propri antesignani che hanno cercato di indicare la via di una vita sobria ).
Ma qual è l’interrogativo fondamentale ? E’ questo ed è di una facilità estrema. Si riassume nel quesito : siamo sicuri che la crescita economica illimitata sia la ricetta giusta per risolvere i problemi dell’umanità ? A prima vista dovremmo rispondere di sì perché la crescita produce benessere, occupazione, denaro e tanti altri vantaggi. Insomma la crescita è il fondamento della società dei consumi, che però non è lo scenario migliore nel quale vivere. C’è anche il rovescio della medaglia della crescita, che è il consumo di energie non rinnovabili, il cambiamento climatico, l’inquinamento ambientale, il rumore, la nevrosi. Insomma per farla breve, più produciamo e più andiamo incontro a danni irreversibili per il pianeta e per l’individuo.
La soluzione sarebbe non quella di tornare all’età della pietra ( la mia è una provocazione, ovviamente ), ma quella di limitare i consumi, di vivere in una società più umana, più conviviale, più sobria. Insomma consumare meno ma riprendere la vita, la sua bellezza, le relazioni umane e tanto altro.
Arriveremo a questo ? Difficile dirlo, perché i meccanismi di persuasione sociale ( la pubblicità che produce bisogni, la scuola che insegna spesso miti sbagliati, come ebbe a dire ferocemente Ivan Illich ) sembrano proporci la direzione opposta, rappresentando avere e consumo come le migliori soluzioni per la vita dell’uomo. Ma per fortuna ci sono anche persone che hanno costruito un mondo di valori completamente differente, e i volontari ne sono una prova.
Quello che è probabile è che , volenti o nolenti, una contrazione dei consumi e del benessere ci sarà perché siamo in una gravissima crisi economica che ci sta conducendo a questo. Ma diverso è subire una decrescita dal volere una decrescita. Nel primo caso ci sarà frustrazione, mentre nel secondo ci sarà una gioiosa scelta di vita verso una società più umana e conviviale.
Questo in estrema sintesi. Ma il tema è troppo interessante per essere liquidato in due battute. E mi auguro proprio che ci siano commenti da parte dei forumisti, e che Cristina voglia aprire eventualmente altri post sull’argomento.

Cristina ha detto...

Grazie, Paolo, per il tuo commento. Ho pensato di proporre questo argomento, in questo forum, proprio perché, tra i valori della decrescita, c’è il dono, che è un valore fondante del volontariato, ma le necessità della vita rischiano di portare anche il volontariato all’interno della società dei consumi, per farlo dipendere anch’esso dall’economia e non da valori importanti come l’amicizia, la solidarietà, che non possono che essere gratuiti. E’ stato così per gli operatori pastorali (tra cui i catechisti, tanto per intenderci) di alcune regioni del nord, per i quali, da qualche anno, le diocesi hanno deciso di stabilire un compenso, altrimenti non si trovava nessuno disposto a farlo. Ma ha senso svilire un’opera meritoria, come quella del volontariato, con il denaro? Così, come dice Ivan Illich, hanno sbagliato, secondo lui, le femministe a chiedere un salario per il lavoro domestico. Il lavoro, non appena viene pagato, diventa merce, viene cosificato, e perde il suo valore più importante, che sta nella gratuità, nella cura dell’altro, nella solidarietà. La felicità di svolgere un servizio sta in quei valori, che niente hanno a che vedere con il denaro, che tutto corrompe. E così, occorre vigilare e fare da sentinelle anche nel servizio volontario, perché è un attimo che ci si lasci lusingare dal fatto di ricavarne un utile in denaro, non fosse altro per fare del bene, quando questo è solo un pretesto e allora, come dice il detto a cui si ispirano molti teorici della decrescita corruptio optimi pessima (una volta corrotte le cose migliori diventano pessime.

Paolo ha detto...

Le considerazioni di Cristina sulla decrescita mi sembrano particolarmente significative in questo forum, che è riservato al mondo del volontariato.
Non appartengo a questo contesto, e non sono in grado pertanto di dare valutazioni, né mi permetterei di avventurarmi in giudizi, ma ritengo ovvio che il volontariato necessiti di mezzi finanziari senza i quali non potrebbe sopravvivere né svolgere i suoi compiti istituzionali. Ma quello che ci ricorda Cristina, sulla scia di Latouche, è che prima dell’aspetto economico ne esiste un altro, che è quello del dono, della dedizione, dell’altruismo e della solidarietà. Se si dimentica questo si rischia di compromettere l’essenza del proprio lavoro e di trasformare tutto in merce.
Latouche afferma - e non è stato il solo in questo – la fine del primato dell’economia, in favore di quello dell’etica. Oggi, detto in parole povere, sembra che i soldi siano al primo posto mentre invece non è affatto così perché esistono prima i valori. Castoriadis diceva efficacemente che avrebbe preferito avere un amico nuovo al posto di una macchina nuova.
Concettualmente la fine del primato dell’economia finisce per sancire anche la fine tanto del capitalismo che del marxismo in favore di un nuovo paradigma. Fine del capitalismo – oggi più aggressivo che mai con le multinazionali e i grandi gruppi finanziari che riescono addirittura con manovre speculative a mettere in crisi monete e mercati internazionali – che realizza in ultima analisi un arricchimento a danno della società e dell’ambiente ; ma anche fine del marxismo con il suo principio “ è l’economia che muove la storia “, che in una società della decrescita e fondata su altri valori non avrebbe più motivo di esistere.

Maria Maddalena ha detto...

Quando chiedi a qualcuno se è d'accordo sul fatto che sia necessario rendere più umana ed equa la società in cui si vive, la risposta è sempre positiva. Passando però alla domanda successiva, sei disposto a cambiare stile di vita, si ottiene sempre una risposta negativa. Il problema è sempre lo stesso: "pensare" è faticoso, e cambiare è troppo impegnativo. Meglio continuare a far finta di nulla, riempire i carrelli al supermercato e nascondersi dietro la frase "desideriamo che i nostri figli abbiano ciò che vogliono". Eppure basterebbero piccoli passi per sviluppare il senso dell'equità nei nostri ragazzi. Noi ad esempio l'abbiamo fatto con l'acquisto della carne. Invece di comperare dal macellaio bistecche, bistecche e ancora bistecche (che si sa, sono le preferite dai bambini), prendiamo direttamente dall'allevatore il pacco famiglia. Il vitello, una volta macellato, viene suddiviso "equamente" in tredici parti, distribuite a tredici famiglie. E' facile così spiegare ai bambini che se uno ricevesse solo bistecche l'altro si ritroverebbe solo con carne per polpette, e la cosa non sarebbe giusta... Se l'educazione parte dalla famiglia non c'è pubblicità che tenga, per quanto sia trascinante. L'altro giorno davanti ad una pubblicità che presentava un bambino attorniato da golosità varie mia figlia, con sguardo di disapprovazione, se ne esce con questo commento: "Certo mamma che quel bambino è veramente viziato!!"

Cristina ha detto...

Sono d'accordo con quanto dice Maria Maddalena sulla difficoltà di cambiare, perché, se non fosse così, dagli anni '70 a ora si sarebbe potuto cambiare il corso di questa storia e adesso non saremmo a questo punto. Il termine decrescita è provocatorio, rispetto a quello di sviluppo economico, ma è chiaro che la decrescita è, nella realtà, un guadagno in termini di libertà, convivialità, felicità e gioia di vivere, nel rispetto della natura e di tutti gli uomini. Penso comunque che non sia troppo tardi per diffondere questa cultura e tutti gli esempi di realizzazione di questa teoria che ci sono, come i gruppi solidali di acquisto, a cui accenna Maria Maddalena, o a km 0, privilegiando i produttori locali, vanno in quel senso e meritano di essere segnalati. Ma come diceva anche Paolo, è importante rendere appetibile questa cultura, con una scelta libera e gioiosa, senza costrizione o per necessità.

Gianpietro ha detto...

Sgombero subito il campo da un possibile equivoco. Questo blog non ha una finalità specifica, non richiede una qualificazione da parte di chi vi partecipa, né prevede che le tematiche trattate rientrino in un paniere predefinito. Il riferimento al mondo del volontariato esiste, per adesso, unicamente perché il blog nasce come prosecuzione di un corso sulla “scrittura emotiva” organizzato da EmmauS ed al quale avevo partecipato. Mi sarei aspettato un discreto seguito da parte degli associati ad EmmauS e dato che ciò non è accaduto, queste pagine virtuali restano aperte per chiunque desideri trattare un qualunque argomento, nel rispetto delle regole di civiltà che non sto ad elencare.
Gianpietro

Gianpietro ha detto...

Riguardo al tema del post di Cristina non me la sento di intavolare un confronto dialettico non potendo vantare letture tra i numerosi autori citati. Preferisco pertanto limitarmi ad alcune riflessioni del tutto personali. In primo luogo la identificazione della soglia limite, il punto di equilibrio che non va superato, lo spartiacque tra progresso e regressione. Si sente dire talvolta “si stava meglio quando si stava peggio” (fatemi grazia di qualunque riferimento politico!). Interpreto l’espressione unicamente come la presa di coscienza che il costo per ottenere un plus di benessere supera il vantaggio che ne deriva. Tralasciamo i periodi antecedenti la rivoluzione industriale, caratterizzati dal rinascimento e dallo sviluppo dell’umanesimo, ma anche da lunghi periodi di carestie e pandemie oggi inimmaginabili. Pensate che le condizioni di vita del XIX° secolo possano essere prese a riferimento? Non credo proprio! Basta leggere qualche relazione sulle condizioni igieniche e di inquinamento delle città di quel periodo. Certo le campagne erano ricche di vegetazione e scarsamente sfruttate, ma anche la popolazione mondiale era poco più di un decimo di quella attuale. Il discorso non cambierebbe analizzando il XX° secolo, che è poi come guardare dietro la porta che abbiamo appena chiuso. “Ai miei tempi si che si viveva bene!” Ma chi ci crede!? I dieci anni di crisi pre e post 1929 li abbiamo già dimenticati? Io penso che il nocciolo del problema stia nella ricchezza e nel potere che le abbiamo dato. Ricchezza basata sui valori monetari e non certo su quelli oggettivi, materiali (che oggi ne sono solo la manifestazione ed il compimento). Il valore monetario ha preso vita dandosi una fisionomia ed una capacità di movimento e di riproduzione che lo ha reso autonomo rispetto a chi originariamente lo gestiva/controllava.
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(devo spezzare il commento in due tranches per rispettare il limite di 4096 caratteri. Chi mi conosce sa che mi innamoro delle parole e fatico a cancellarle)
... segue

Gianpietro ha detto...

... seguito
La crisi finanziaria del 1929 era stata un’avvisaglia che avrebbe dovuto portare a costruire robuste palizzate (gli accordi di Bretton Woods del 1941 andavano in quel senso). Appena trent’anni dopo tali accordi decaddero e da allora è stato un susseguirsi di deregolamentazioni negli scambi e nell’operatività sui mercati (si sosteneva: il mercato ha i propri anticorpi). La borsa è invece diventata la grande meretrice, che partorisce e uccide a piacimento i suoi figli (accumula e brucia denaro con la stessa facilità e senza alcun riferimento a realtà economiche). La stessa crisi odierna è figlia di speculazioni che attraversano le viscere della borsa ponendosi a causa dei disastri aziendali invece di esserne il termometro rilevatore. Esistono cure? No, nessuna. Il mostro che abbiamo permesso che si sviluppasse svincolato da ogni forma di controllo, vive ora di vita autonoma. Il gap tra povertà e ricchezza si allargherà sempre più non esiste modo di fermarlo. Anche se tutto il 10% della popolazione mondiale che detiene l’85% della ricchezza decidesse di ridistribuirla, (o anche solo l’1% che ne detiene il 40%) questa passerebbe unicamente di mano ad un altro 10%, già da tempo in attesa della sua occasione, e il primo 10% non potrebbe impedirlo in nessun modo. Riscrivere le norme che regolano gli scambi finanziari? Forse. Chiudere le borse? Meglio ancora. Ma in quel caso sarebbe la rivoluzione, e armata, di quell’altro 50% della popolazione mondiale che si spartisce l’1% della ricchezza residua. Guardate le tabelle della popolazione mondiale e tremate. Nel solo secolo scorso e nonostante due guerre mondiali la popolazione è passata da 1.650 a 6.000 milioni. Risorse che si esauriscono? Io non credo, ma può darsi. Fino al 1850 il petrolio non veniva utilizzato come fonte di energia, tra altri 150 anni potremo servirci di tipi di combustibile oggi inimmaginabili. La fine del primato dell’economia a favore del primato dell’etica? Non lo hanno realizzato civiltà prosperate in epoche storiche dove bastava la spada a difendere o dividere la ricchezza, figuriamoci oggi dove è la stessa ricchezza a maneggiare la spada. Cosa rimane allora? La scelta individuale. La cultura che Maria Maddalena instilla nelle figlie: ridistribuire la carne del vitello secondo equità, raccontare in giro che si può indossare l’abito dell’anno prima, o spegnere la luce che non serve, continuando a farlo anche quando ci si potrebbe permettere di non farlo più. Ma, soprattutto, ricordandosene allorchè ci si trova investiti di un ruolo pubblico. Ma questo è forse chiedere troppo?
Gianpietro

Paolo ha detto...

Devo dividere anche io il post in due parti perché temo sia troppo lungo.
Nella prima, allora, risponderò a Cristina e Maria Maddalena e nella seconda a Gianpietro.
Mi sento d’accordo sia con Cristina, che ha aperto la discussione e ha svolto delle interessanti considerazioni, sia con Maria Maddalena che, dopo aver evidenziato quanto sia difficile cambiare stile di vita, è scesa nel dettaglio con alcuni esempi. E questo mi pare giusto perché tutto non deve restare avvolto nella teoria ma deve essere applicato nella pratica.
Ma se vogliamo restare nel concreto, allora possiamo indicare altri esempi di questa società conviviale vagheggiata da Latouche. Oltre naturalmente a quelli già ricordati sopra dei gruppi di acquisto solidale e degli acquisti a km.0 .
Credo che tutto sia riconducibile al concetto di riduzione del proprio stile di vita , che a me pare fondamentale, insistendo sul fatto che la riduzione non deve essere vissuta come un quid minus, e quindi con frustrazione, ma deve essere una gioiosa scelta di vita.
Si possono trascorrere ore serene con gli amici in una trattoria di campagna dai prezzi abbordabili ( dalle mie parti non oltre i 20-25 euro per un pranzo completo ), anziché frequentare ristoranti di un certo livello. Oppure , come affermava Illich , si può utilizzare la bicicletta come mezzo di trasporto, anche se secondo me occorre evitare gli eccessi, usando la bicicletta ad integrazione della macchina e non in via sostitutiva . E ancora i bed and breakfast, che si stanno affermando come posti di soggiorno, gradevoli e più a buon mercato degli alberghi. Ma aggiungerei ancora la riduzione o eliminazione di abiti griffati, in favore comunque di vestiti realizzati con materie prime pregiate e comunque di classe. E anche l’utilizzazione delle biblioteche che ritengo essere luoghi conviviali per eccellenza. Nelle biblioteche si fa spesso amicizia e si scambiano opinioni. Ma le biblioteche ci insegnano soprattutto a non acquistare soltanto libri ( anche qui non intendo eliminare l’acquisto di libri ma limitarlo a quelli che davvero ci interessano ), ma a sfogliarli, consultarli, prenderli in prestito, esaltando anche la curiosità intellettuale. Insomma sono tante le forme di vita che propendono verso una maggiore sobrietà e convivialità, e non devono essere considerate assolutamente un ripiego. Anzi la vita arida è proprio quella proposta dal consumismo.
Sono un po’ meno d’accordo invece con l’affermazione di Maria Maddalena che “se l'educazione parte dalla famiglia non c'è pubblicità che tenga, per quanto sia trascinante “. Senza trascurare il ruolo svolto dalla famiglia ,la pubblicità è subdola, infida, crea aspettative, modelli, bisogni che devono essere appagati.
A questo proposito già nel 1957 Vance Packard pubblicò un libro, “ I persuasori occulti “, nel quale riportò i risultati di un suo studio in cui affermava che gli spettatori di un film in cui venivano inseriti brevi fotogrammi contenenti messaggi pubblicitari subliminali ( non percepiti dalla vista per la velocità di scorrimento delle immagini, ma immagazzinati dall’inconscio) finivano per aumentare effettivamente il consumo dei prodotti in questione.
Ora questo ovviamente è un caso limite , ma a parte questo, la pubblicità anche se non subliminale ( peraltro vietata ) è pericolosissima perché entra continuamente nelle nostre vite.

Paolo ha detto...

Anche Gianpietro secondo me fa considerazioni che meritano attenzione.
E’ giustissima la sua analisi storica. Non “si stava certamente meglio quando si stava peggio”, e questo è valido per tutti i periodi della storia. Il passato ci mostra epidemie, pandemie, povertà, mortalità infantile altissima. Diciamo la verità: il progresso è utile e nessuno lo mette in discussione. Il fatto è che come avverte Latouche, e anche altri autori, la crescita non potrà essere illimitata perché così si distrugge il pianeta . E non è soltanto l’inquinamento, che ,come dice giustamente Gianpietro, c’è sempre stato ma anche altri allarmanti fenomeni : il disboscamento selvaggio,il buco nell’ozono, l’innalzamento della temperatura degli oceani che provoca gravi mutamenti climatici ecc. ecc. E tralascio il discorso sull’energia. Il petrolio certamente finirà , e nuove forme di energia sono tutte da verificare. Ce ne sarebbero anche , ma con problemi di una gravità enorme, come il nucleare che per fortuna il referendum del giugno 2011 ha cancellato dai prossimi scenari possibili. Certamente c’è l’energia eolica, solare ecc., e in questo i progresso ci può aiutare, ma i risultati in questo campo sono per il momento modesti . Quindi credo davvero che allo stato attuale l’imperativo categorico sia quello di non continuare a distruggere . E la crescita è purtroppo distruzione.
C’è poi il problema del primato dell’etica e Gianpietro sembra non crederci ( e se restiamo sui grandi numeri neppure io ci credo ). Poi però , sempre Gianpietro, conclude dicendo – e io condivido - che l’unica soluzione sta nelle scelte individuali. E allora aggiungo che anche la scelta della priorità dell’etica sulla economia debba essere individuale ; e in questa ottica credo certamente che tutti i partecipanti al forum preferiscano anteporre i valori umani e spirituali al denaro e a tutto il resto.
Del resto – non è una novità – ogni rivoluzione nasce innanzitutto dalla coscienze individuali. Certamente in questo caso non ci sarà alcuna rivoluzione, ma già comportarci in armonia con il nostro modo di pensare e senza tradire noi stessi è un punto fondamentale.