21 marzo 2009

Il nostro pensiero

Le nostre relazioni con gli ammalati che seguiamo sono talvolta rese un po' difficili dalla ricerca di un equilibrio tra la sincerità del rapporto, che vorremmo instaurare con loro, e la prudenza che viene richiesta in situazioni familiari complesse, con le quali non desideriamo interferire. Anche nelle nostre associazioni, non vorremmo mai essere quelli che portano problemi e così spesso preferiamo tacere anche quando ci troviamo in una situazione di disagio. In una raccolta di saggi che si intitola "Vita immaginaria" Natalia Ginzburg scrive: "... in questa nostra vita italiana, tutti passiamo il tempo a farci dei sorrisi, dei convenevoli, e non diciamo mai il nostro pensiero". Nel corso di una riunione straordinaria, per la presentazione di un nuovo dirigente, nell'azienda in cui lavoro, il presidente incominciò ad elogiarne le grandi qualità, contrapponendole alla scarsa opinione che, a suo dire, aveva suscitato il predecessore. Il dirigente che se ne era andato era una persona che io stimavo molto e di fronte a questa diffamazione molto ingiusta mi mostrai indignata che si parlasse di lui in questo modo. Allora, il presidente, sorridendo, mi disse che se le cose stavano così, doveva ammettere che eravamo in due a stimare il dirigente uscente, perché anche lui ne conosceva il valore. Rimasi sconcertata per come si potessero esprimere due opinioni così diverse, nel corso dello stesso intervento. Questo tema della sincerità e della capacità di sapere esprimere sempre il nostro pensiero, mi sta molto a cuore, perché sono consapevole che spesso è davvero difficile; mi piacerebbe che affrontassimo una discussione su questo argomento per conoscere anche la vostra esperienza. Cristina

1 commento:

Gianpietro ha detto...

Anche escludendo i: "voltagabbana di professione", quelli che: "solo gli imbecilli non cambiano mai idea", quelli che: "negano a prescindere", quelli che: "vengono sempre fraintesi", quelli che: "non si può estrarre una frase dal contesto", quelli che: "mistificano per professione", quelli che: "vivono di smentite", quelli che: "travisano sempre il significato", quelli che ... Escludendo, praticamente, quasi tutti, gli altri, beh gli altri devono fare i conti con i propri limiti, limiti che vanno moltiplicati per una serie di fattori che includono i limiti degli altri, la povertà del linguaggio, la variabilità dei codici utilizzati, la differente percezione della realtà, le distanze culturali, sociali, storiche, le diverse sensibilità, il particolare momento, i fattori contingenti, le aspettative, la tendenza a cercare conferma di ciò che già si conosce, la paura della novità e del confronto, la desuetudine all’ascolto ed all’immedesimarsi nella parte dell’altro ... E se il numero che ottieni al termine di questi prodotti ti sembra ancora troppo vicino all’unità, l’ultimo chiodo che conficco a decretare la morte del dialogo è la malafede. A Lot sarebbero bastati dieci giusti per salvare un intero distretto, ed anch’io vedo solo esempi sconfortanti. Oggi il mio obiettivo è di comprendere e adeguarmi all’insegnamento: "Sia il vostro parlare sì sì, no no, il di più viene dal maligno" (Matteo 5,37). Tutte le volte che mi sono avvalso dell’arma del linguaggio, ho subito pesanti lezioni di umiltà, rovinose cadute dai piedistalli sui quali mi ero issato convinto di possedere la verità. Non sempre ho riconosciuto le sconfitte e così mi sono privato degli insegnamenti che queste avrebbero potuto offrirmi, ma quando li ho colti ed ho abbassato la cresta, mi hanno aiutato. Non so se dico sempre ciò che penso, o se preferisco adeguarmi alle situazioni limitandomi a ciò che reputo più conveniente; probabilmente ho attraversato tutti i fattori che ho elencato: qualcuno più consapevolmente, qualcun altro meno. Di sicuro, spesso, mi sono pentito delle cose che ho detto, così come di quelle che ho taciuito. Gianpietro