18 febbraio 2009

costruire il presente

Leggendo “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery ho trovato questa riflessione (pagg. 123, 124) che uno dei personaggi principali, una bambina di 12 anni, fa rientrando dalla visita alla nonna da poco trasferita in una casa di riposo.
“…
Non bisogna dimenticare i vecchi con i corpi putrefatti, i vecchi vicinissimi a quella morte a cui i giovani non vogliono pensare (e così affidano alla casa di riposo il compito di accompagnare i genitori alla morte per evitare scenate o seccature), la gioia inesistente di quelle ultime ore che bisognerebbe gustare fino in fondo, e che invece subisci rimuginando nella noia e nell’amarezza. Non bisogna dimenticare che il corpo deperisce, che gli amici muoiono, che tutti ti dimenticano e che la fine è solitudine. E neppure bisogna dimenticare che quei vecchi sono stati giovani, che il tempo di una vita è irrisorio, che un giorno hai vent’anni e il giorno dopo ottanta. Colombe
(personaggio del libro) crede che è possibile “affrettarsi a dimenticare” perché la prospettiva della vecchiaia per lei è ancora lontanissima, come se la cosa non la riguardasse. Io ho capito molto presto che la vita passa in un baleno guardando gli adulti attorno a me, sempre in fretta, stressati dalle scadenze, così avidi dell’oggi per non pensare al domani … In realtà temiamo il domani solo perché non sappiamo costruire il presente, e quando non sappiamo costruire il presente ci illudiamo che saremo capaci di farlo domani, e rimaniamo fregati perché domani finisce sempre per diventare oggi, non so se ho reso l’idea. Quindi non bisogna affatto dimenticare. Occorre vivere con la certezza che invecchieremo e che non sarà né bello né piacevole né allegro. E ripetersi che ciò che conta è adesso: costruire, ora, qualcosa, a ogni costo, con tutte le nostre forze. Avere sempre in testa la casa di riposo per superarsi continuamente e rendere ogni giorno imperituro. Scalare passo dopo passo il proprio Everest personale, e farlo in modo tale che ogni passo sia un pezzetto di eternità. Ecco a cosa serve il futuro: a costruire il presente con veri progetti di vita.
…”

Riflessioni semplici, alla portata di molti adolescenti, ma che, forse, nemmeno noi adulti ci soffermiamo a fare. Non credo sia necessario avere un parente ricoverato per condurre il proprio figlio a visitare una casa di riposo. Gianpietro

1 commento:

Cristina ha detto...

Penso che a volte siamo anche noi adulti a scoraggiare le relazioni tra i giovani e gli anziani, sottovalutandoli e ritenendo a torto che la cura degli anziani sia una responsabilità troppo gravosa. Io sono figlia di genitori anziani e sono entrata presto in contatto con la vecchiaia e la morte, ma non credo di avere avuto difficoltà maggiori rispetto ai miei coetanei che lo hanno fatto molto più tardi. Purtroppo, per come sono concepite oggi le case di riposo, queste strutture non facilitano le relazioni. Dovrebbero essere nuclei più piccoli, accoglienti, dove tutto è bello e ben pensato, non solo per gli anziani, ma per i visitatori e, soprattutto, un luogo che attiri, non che respinga: io ho esperienza dell’hospice e penso che sia un luogo dove le relazioni siano la cura più importante. Nel nostro modo di parlare poi ho notato più volte che chi si prende cura di un anziano tende a sottolineare più i compiti sgradevoli che tutto il resto. Quando un anziano non ha più una sua autonomia nello svolgere certe funzioni, è chiaro che qualcuno lo deve aiutare, ma ridurre tutto a questo è davvero eccessivo: nel linguaggio comune, invece, è passato questo modo di dire che riduce la cura dell’anziano a questa operazione. Penso che dobbiamo un po’ tutti recuperare l’umanità delle nostre relazioni, non solo i giovani. Ogni relazione ha una sua ricchezza ed è sempre certamente più gratificante, che gravosa. Ci sono anche molte relazioni difficili, ma non necessariamente sono legate all’età. C’è anche un’altra associazione che facciamo con troppa facilità: che la vecchiaia sia essa stessa una malattia, come del resto dicevano gli antichi. Non sempre è così. Faccio queste considerazioni mentre per televisione passano i volti sorridenti delle due suore torinesi ultrasessantenni che sono state liberate e il giornalista commenta che esse sono l’espressione di una Italia viva e vitale che ci sostiene e ci dà forza e speranza. Cristina