12 aprile 2012

Asserzione

(pag. 22) Scegliamo il nostro mondo successivo in base a ciò che apprendiamo in questo. Se non impari nulla, il mondo di poi sarà identico a quello di prima e avrai anche le stesse limitazioni che hai qui.
pag. 23) Il paradiso non è un luogo. Non si trova nello spazio e neanche nel tempo. Il paradiso è essere perfetti.


Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere(Ludwig Wittgenstein - Tractatus Logico-Philosophicus). Se applicassimo alla lettera la “asserzione” del pensatore austriaco avremmo un mondo certamente meno assordante, ma assai poco divertente. E’ pertanto sforzo vano parlare di ciò che non si conosce? Personalmente non credo, una volta riconosciuto e accettato il limite. Le espressioni tratte dal libro di R.Bach vanno quindi prese come ipotesi formulate per calmare l’ansia originata da domande che, diversamente, cadrebbero nel vuoto. Tra le tante teorie sul destino dell’individuo e sullo scopo della vita, annovero quella dell’evoluzione dello spirito (comunemente nota come reincarnazione o metempsicosi) tra le più suggestive e per certi versi “ragionevole”. Ovviamente, per reggere alla prova della ragione, ha alla base un consistente insieme di postulati di fede, e quindi per loro natura indimostrabili. Provo ad elencarne alcuni. Per ogni individuo esisterebbe un’anima (o spirito) immortale. Il corpo sarebbe solo uno strumento preso in prestito alla natura (l’uomo sarebbe stata una delle opzioni possibili, ma non è detto che uno scarafaggio non potesse funzionare ugualmente). Per una qualche ragione l’anima, che è perfetta, si nasconderebbe in un corpo (da lei scelto?) che le sta stretto, pieno di difetti, limitato nelle potenzialità, veramente primitivo nei principi, barbaro direi, e decisamente duro di comprendonio. Il gioco si chiama ritornare al Padre, o espiare un peccato originale (?), o riscoprire la perla, più genericamente, evoluzione. Una specie di gioco dell’oca; in ciascuna casella ci sono le esperienze, gli ostacoli, gli stimoli, gli esempi, degli aiutini, gli studi, gli incontri, le sofferenze, più raramente le gioie, le cadute (se proprio si è zucconi i rimandi al via) e le risalite, a volte perfino i miracoli. Ad ogni progressione dell’anima corrisponderebbe una regressione del corpo. Anima e corpo sono impegnati in una lotta dove il bisogno morale si realizza solo con l’annullamento dei bisogni materiali. I cardini sui quali la natura ha plasmato l’uomo (la difesa, la sopravvivenza, il dominio) diventano i primi nemici dell’anima (Francesco che si spoglia era già sulla buona strada). Se, su queste basi, qualcuno pensa che con la morte fisica tutto sia compiuto, gli do il benvenuto nella lotteria dei 6 numeri su 90 ed una sola giocata a disposizione. E se anche c’è chi dura di più e chi finisce prima, chi vive in salute e chi in malattia, chi dispone degli strumenti e chi nemmeno li conosce, chi si impegna per aiutare e chi per sottomettere, ebbene tutto questo occupa lo spazio, insignificante, di un “amen”. Quali scale utilizzare allora? 1, 100, 1.000, 1.000.000 giri di giostra per ogni anima? e ripetuti per quante anime? E su quanti piani spaziali o temporali? E se il corpo servisse solo per la sgrossatura iniziale (diciamo i primi lanci del dado) e poi il gioco continuasse su dimensioni inimmaginabili? Tante individualità o, in proiezione, la fusione in un’unica amalgama (tante lingue di un’unica fiamma)? E dove si pone l’eternità? E l’infinito? Chi misura il risultato? Chi dice: “così può bastare”?
….
Il paradiso è essere perfetti. Se lo fossi, credo che me ne accorgerei. Ma così non è, non ancora, almeno. Gianpietro

6 commenti:

Cristina ha detto...

La prima frase mi sembra che richiami le teorie sulla reincarnazione, delle quali so poco o nulla, ma mi sembra che ce ne sia una che sostenga che l’anima, prima della reincarnazione, possa scegliere il suo destino e persino la famiglia e il luogo in cui nascere, anche se poi, in seguito, perde la memoria di questa scelta. La reincarnazione è una teoria affascinante, ma poco convincente. Più convincente, invece, a mio avviso, il destino dell’anima, secondo la tradizione teologica, argomento ripreso dal teologo Vito Mancuso, in un saggio che si intitola, appunto, “L’anima e il suo destino”, nel quale sostiene che tutto ciò che vive ha un’anima, che può avere cinque diversi stati ontologici: anima vegetativa, tipica delle piante, anima sensitiva, tipica dell’animale che obbedisce agli istinti, anima razionale, dell’uomo quando entra in contatto con la cultura, attraverso la famiglia, la società e la scuola. Ci sono esseri umani che si fermano a questo livello di anima razionale, più su di quella animale, ma senza essere giunti al livello superiore, che è quello dell’anima spirituale. La loro ragione è al servizio delle passioni e degli istinti. Si pensa solo ciò che si vuole pensare, schiavi del proprio Io animale e degli istinti. C’è anche una modalità di vivere la religione che si trova a questo livello ed è la superstizione, oppure l’adesione alla Chiesa solo come organo sociale, dove si presta molta attenzione ad onorare i capi.
Ma esiste un livello superiore, che è quello dello spirito, a cui si attinge quando si entra nella cultura non più esteriormente, ma partecipandone interiormente: la cultura non è più erudizione o prestigio, funzionale al rapporto con gli altri, non è più estetismo, tenuta a debita distanza nella vita reale, ma diviene bisogno intimo dell’anima, che vive del colloquio personale con i grandi del pensiero, dando forma alla vita di tutti i giorni. L’anima a questo livello conosce la vita spirituale e diviene anima spirituale. Infine, il quinto livello ontologico dell’anima è l’anima spirituale unificata dal volere sempre e solo il bene e la giustizia: e questo avviene quando la nostra anima incontra Dio, la pienezza dell’essere e della vita buona e bella e questo stato è chiamato divino.
La seconda affermazione, invece, penso si riferisca, più esplicitamente, alla tradizione ebraico-cristiana, secondo la quale il paradiso non è un luogo geografico, ma una dimensione e la perfezione è la dimensione di Dio. Per la cabala ebraica i livelli di spiritualità sono nove e Gesù è l’uomo che ha raggiunto il livello più alto di spiritualità, che è appunto quello divino.

Paolo ha detto...

Il post e il successivo commento toccano dei temi talmente complessi che è impossibile arrivare a una conclusione o dare una risposta.
Il corpo, l’anima, il destino dell’uomo, la reincarnazione, l’evoluzione. Tutti temi che sono alla base dell’esistenza e che possono far nascere a loro volta soltanto interrogativi.
Partiamo dal corpo, che è una realtà incontrovertibile perché tutti abbiamo un corpo. Il corpo ha un’anima ? Forse sarebbe più corretto dire che l’anima ha un corpo, e non il contrario. Perché il corpo è per sua natura finito, imperfetto, mortale e non può produrre l’anima che è invece spirituale, immateriale e immortale.
Se le cose stanno così – e il corpo non è altro che l’emanazione dell’anima – non si può che aderire alla dottrina monista, nel senso che vi è un unicum anima-corpo, mentre tutte le dottrine dualiste, che contrappongono il corpo all’anima non hanno più ragione di esistere. Ed allora, in questa prospettiva, non ha più tanto senso sostenere che “ ad ogni progressione dell’anima corrisponde una regressione del corpo e che anima e corpo sono impegnati in una lotta “.
Credo che sia finita l’epoca dei cilici e delle mortificazioni corporali, mentre il corpo va soltanto regolato secondo i dettami dell’anima che impongono di evitare gli eccessi o gli abusi. Ma il dissidio non c’è.
Ed è questa la stessa prospettiva da cui parte San Paolo quando afferma che il corpo è tempio dello Spirito, rivalutando ampiamente questo nostro povero bistrattato corpo. Ed è anche la stessa premessa da cui parte Roberto Assagioli – che non può essere ovviamente paragonato a San Paolo ma che è comunque una mente illuminata – quando propone nel suo esercizio di disidentificazione di considerare il proprio corpo per poi distaccarsene , nella consapevolezza che non siamo solo il nostro corpo ma anche qualcosa di più ( vedi il precedente post di Cristina “ Il rapporto con il corpo “ ).
C’è poi il discorso sulla reincarnazione. Io vi credo poco mentre credo nella evoluzione. La reincarnazione secondo me ha il difetto di essere geocentrica, di porre cioè la terra al centro dell’universo come se fosse l’unica realtà e l’unica espressione di vita. E di considerare l’uomo negli stessi termini, come se la vita fosse solo quella umana e non vi fossero anche dei livelli diversi o superiori. Se l’anima compie un suo cammino ha proprio bisogno di reincarnarsi in un corpo fisico ? Non lo credo, mentre ritengo che l’anima disponga di altri mezzi evolutivi.
Ma mi rendo conto di aver toccato dei temi che non hanno risposta, e questo è pertanto solo il mio pensiero.

Cristina ha detto...

Sulla rivalutazione del corpo, da parte di S. Paolo, aggiungo anche che la teologia del corpo è fondante del cristianesimo, altrimenti non si capirebbe la importanza del corpo eucaristico e nemmeno della risurrezione. Corpo eucaristico, corpo della Chiesa, corpo della comunità. Va anche precisato che il corpo dell’uomo, nella teologia paolina, non è soltanto un contenitore, ma è anche il modo in cui l’uomo sta in relazione, nel mondo, con gli altri uomini. Questo solo per spiegare che con il cristianesimo siamo ben lontani dalla concezione platonica di corpo come prigione dell’anima.
Anche per me, come per Paolo (sia quello santo sia l'altro :) non c'è dissidio tra corpo e anima, ma un unicum anima-corpo.

Gianpietro ha detto...

Normalmente evito di inserirmi tra i commenti ai post che scrivo. Oggi devo fare una eccezione perchè, non aspettandomi una partecipazione così "immediata", ho modificato il post (niente di stravolgente) pensando di renderlo più comprensibile. E questo è capitato tra il commento di Cristina e quello di Paolo. Scusatemi.
Con l'occasione faccio presente a Paolo che "progressione dell'anima vs regressione del corpo" non ha niente a che fare con cilici e mortificazioni, ma con quanto ho scritto due righe sotto circa i cardini sui quali la natura ha plasmato l'uomo (mi sono limitato a citarne tre). Prova (i post non bastano) a riflettere su cosa significa "difesa" per l'umano e come essa sia in conflitto con le leggi dello spirito. Possesso, egoismo, territorio, confini, razze, cosa non si giustifica con il bisogno di difendersi, naturale in natura, ma deleterio in amore. Lo stesso vale per "sopravvivenza" (si vive per mangiare, il piacere, la lussuria ...) o "dominio" (potere, comando, denaro, controllo sugli altri, avidità ...). Ripeto, tutto normale e giustificato in natura, ma ostacolo all'emergere dell'anima. Come ho scritto, credo che "il bisogno morale si realizza solo con l'annullamento del bisogno materiale".
Da ultimo preciso che non sono assolutamente sostenitore del geocentrismo. La reincarnazione procederebbe (ricordiamoci l'uso del condizionale) per passaggi di livello. L'esperienza sulla terra, nella forma che conosciamo, rappresenterebbe solo uno stadio (per alcune teorie il primo e più grossolano) dell'evoluzione. Credo che questo concetto sia presente nel post, forse dovevo chiarirlo meglio. Gianpietro

Maria Maddalena ha detto...

Ritorno a casa

"Ci sono tre stadi nello sviluppo spirituale di una persona", disse il maestro.
"Quello carnale, quello spirituale e quello divino".
"Qual è lo stadio carnale?", chiesero i discepoli, bramosi di sapere.
"E' lo stadio in cui gli alberi sono visti come alberi e le montagne come montagne".
"E quello spirituale?"
"E' quando si guarda più a fondo nelle cose... allora gli alberi non sono più alberi e le montagne non sono più montagne".
"E quello divino?"
"Ah, quello è l'illuminazione", rispose il maestro sogghignando, "quando gli alberi tornano a essere alberi e le montagne, montagne".

Anthony de Mello
"Un minuto di saggezza nelle grandi religioni"

Cristina ha detto...

Sono tante le storielle Zen che affermano che la illuminazione non interrompe la normalità della vita. Ne riporto una a caso dal libro “101 Storie Zen”.

Il vero miracolo

Quando Bankei predicava nel tempio Ryumon, un prete Shinshu, che credeva nella salvezza ottenuta ripetendo il nome del Buddha dell’Amore, si ingelosì del suo vasto pubblico e volle discutere con lui. Bankei stava parlando allorché comparve il prete, ma questo creò una tale confusione che Bankei si interruppe e domandò cosa fosse quel baccano. “il fondatore della nostra setta” si vantò il prete “aveva poteri così miracolosi che stando su una riva del fiume con un pennello in mano riusciva a scrivere attraverso l’aria il sacro nome di Amida su un foglio che un suo assistente reggeva sull’altra riva. Tu puoi fare questa cosa prodigiosa?”
Bankei rispose gaiamente: “Forse questo gioco di prestigio può farlo la tua volpe, ma non è questo il modo dello Zen. Il mio miracolo è che se ho fame mangio e se ho sete bevo.”