
“… vogliamo diventare una compagnia di danza a tutti gli effetti ed essere inseriti in un circuito di assoluta normalità …” Come questa, diverse altre espressioni sembravano finalizzate a valorizzare l’impegno dei danzatori a prescindere (Totò mi perseguita!) dall’handicap, spesso evidente, nel timore che la propria esibizione venga sostenuta dal pubblico solo per non rischiare di apparire cinici. Il pietismo esiste nonostante i maldestri tentativi di nasconderlo, difficile liberarsene e su questo tema la loro sensibilità ha antenne lunghe e perfettamente funzionanti.
“Non volevamo che fosse solo un’opportunità per gli ospiti” sostiene un accompagnatore. La danza vista come diversivo alla monotonia del quotidiano; l’uscita col pulmino; un paio d’ore di svago; la promessa di un gelato al rientro se ci si è ben comportati. Una terapia differente, che nessun medico ha prescritto ed i cui risultati nessuno potrà avvalorare. Una medicina assunta su base volontaria, dato che più d’uno di quelli che si erano cimentati sul parquet ha poi scelto di non continuare, o di limitare l’impegno. Ad altri invece è mancato lo spazio, le chiamate in pista sempre più diradate, si faceva tappezzeria. Per quelli che vogliono continuare questa è una “opportunità” che mantiene ancora intatte tutte le sue potenzialità. Va quindi sfruttata, incentivata, applicata a quanti più “ospiti” possibile. Per contro, l’auspicata trasformazione in spettacolo teatrale e competizione sportiva, dovrebbe salvaguardare il gioco, il dilettantismo di chi usa la danza ad integrazione della terapia personale. Credo che attorno a questi magnifici ragazzi vada stesa una rete protettiva, fatta di chiarezza, sia dei ruoli, che delle attese. Auspico venga creata un’organizzazione affidabile, dotata di ambienti, mezzi e risorse economiche adeguate, al cui interno ognuno conosca il proprio compito e rispetti quello degli altri. Fatto questo, l’esercizio più difficile sarà allora quello di respingere la tentazione che, al superamento della dicotomia abile/disabile, si sostituisca la selezione tra danzatori diversamente abili di prima serie e di seconda serie. Gianpietro
1 commento:
Penso che questo progetto sia molto importante, perché fa capire come ogni persona possa trovare il modo di esprimersi. Il rischio che si possano fare delle differenze, temo sia inevitabile: il termine diversamente abile, va bene se sottintende che ognuno di noi ha una sua abilità, non va bene, se invece serve per nascondere le nostre inadeguatezze e diversità. Sulle difficoltà a raggiungere gli obiettivi, ogni progetto si misura con questo, ma si rafforza anche. Ogni giorno, sperimentiamo le difficoltà che ci sono nel raggiungere i nostri ideali: quello che distingue quelli capaci di lottare dai rinunciatari, non è avere buone idee in testa, ma perseverare, attraverso i fallimenti e le delusioni. Io mi avvilisco facilmente, ma una volta che un obiettivo mi entra in testa, difficilmente riesco a togliermelo. Dico questo, in un giorno in cui ho dovuto rinunciare ad un progetto importante, sul lavoro, per l'ostruzionismo di alcuni colleghi. Cristina
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