
27 settembre 2008
Le famiglie infelici

25 settembre 2008
oltre l'opportunità

“… vogliamo diventare una compagnia di danza a tutti gli effetti ed essere inseriti in un circuito di assoluta normalità …” Come questa, diverse altre espressioni sembravano finalizzate a valorizzare l’impegno dei danzatori a prescindere (Totò mi perseguita!) dall’handicap, spesso evidente, nel timore che la propria esibizione venga sostenuta dal pubblico solo per non rischiare di apparire cinici. Il pietismo esiste nonostante i maldestri tentativi di nasconderlo, difficile liberarsene e su questo tema la loro sensibilità ha antenne lunghe e perfettamente funzionanti.
“Non volevamo che fosse solo un’opportunità per gli ospiti” sostiene un accompagnatore. La danza vista come diversivo alla monotonia del quotidiano; l’uscita col pulmino; un paio d’ore di svago; la promessa di un gelato al rientro se ci si è ben comportati. Una terapia differente, che nessun medico ha prescritto ed i cui risultati nessuno potrà avvalorare. Una medicina assunta su base volontaria, dato che più d’uno di quelli che si erano cimentati sul parquet ha poi scelto di non continuare, o di limitare l’impegno. Ad altri invece è mancato lo spazio, le chiamate in pista sempre più diradate, si faceva tappezzeria. Per quelli che vogliono continuare questa è una “opportunità” che mantiene ancora intatte tutte le sue potenzialità. Va quindi sfruttata, incentivata, applicata a quanti più “ospiti” possibile. Per contro, l’auspicata trasformazione in spettacolo teatrale e competizione sportiva, dovrebbe salvaguardare il gioco, il dilettantismo di chi usa la danza ad integrazione della terapia personale. Credo che attorno a questi magnifici ragazzi vada stesa una rete protettiva, fatta di chiarezza, sia dei ruoli, che delle attese. Auspico venga creata un’organizzazione affidabile, dotata di ambienti, mezzi e risorse economiche adeguate, al cui interno ognuno conosca il proprio compito e rispetti quello degli altri. Fatto questo, l’esercizio più difficile sarà allora quello di respingere la tentazione che, al superamento della dicotomia abile/disabile, si sostituisca la selezione tra danzatori diversamente abili di prima serie e di seconda serie. Gianpietro
23 settembre 2008
Un tu che mi viene incontro

22 settembre 2008
neanche un lembo di pelle

Una sera di circa quarant’anni fa, terminato un corso di informatica, camminavo per le vie di Roma in attesa di trovare un buon ristorante. Ad un tratto vedo un giovane in carrozzina che, agendo sui cerchioni fissati all’esterno delle ruote, sembra procedere a fatica lungo la strada in leggera pendenza. Lo seguo per un tratto osservandone l’aspetto trasandato, i capelli lunghi, la barba incolta ed i lineamenti spigolosi, marcati da chiari segni di sporcizia sul viso e sulle braccia scoperte. Le mani calzano dei mezzi guanti sbrindellati e lerci. Fissati alla carrozzina diversi pacchi che sembrano sul punto di scivolare tra le ruote. L’apparenza è di un ragazzo forte e alto, che io leggo come un disabile diseredato e che potrei aiutare, quantomeno a superare quel tratto di strada. Ci penso a lungo, poi lo avvicino e prendo saldamente i manubri della carrozzina borbottando qualcosa come: “Scusi, posso aiutarla?”. Lui si divincola senza voltarsi neppure, dà uno strappo alle ruote e si stacca, allontanandosi imprecando. Avverto vampate di caldo al viso ed un tremore per tutto il corpo. Lo raggiungo e lo affianco: “Guardi che volevo solo darle una mano, nient’altro”. Agitando minaccioso le mani guantate mi snocciola una serie di epiteti e si allontana con energiche bracciate, sempre inveendo. Pieno di vergogna e di rabbia mi guardo attorno, ma l’indifferenza è totale. Una bottiglia di ottimo vino ed una cena che ne bastava per due, non sono valsi a riassorbire un malessere che mi sono tenuto dentro per diverso tempo.
Ho raccontato questi due episodi pensando allo stereotipo del bisognoso, che noi vorremmo anonimo, immediatamente identificabile, ma che di se stesso non mostra neanche un lembo di pelle, solo la richiesta di aiuto, in modo evidente, tanto ostentata quanto impersonale. Ma così è troppo facile.

Gianpietro
21 settembre 2008
Il mendicante

18 settembre 2008
perchè lo faccio?

17 settembre 2008
Le domande inutili

La lettera

14 settembre 2008
ubriachi, umani, guerrieri

nel tempo.
Per brevi vite intanto vagano da ubriachi.
Legato a un Punto inutile,
l’ubriaco aggroviglia matasse di cui ha perso i capi.
Non pianti, non rimorsi, non ansie, non aneliti, non sguardi,
non speranze,
l’ubriaco ondeggia in bilico tra l’esser belva od umano.
Lo guida l’ignoranza, lo spinge la disperazione,
altre voci non ode, né potrebbe.
L’ubriaco vede solo ciò che le sue mani contengono,
possiede solo ciò che le sue mani toccano,
desidera solo ciò che altre mani gli mostrano,
distrugge tutto ciò che le sue mani non conoscono.
L’ubriaco ama il suo stato e lo difende da tutto,
delle conseguenze non si cura,
la sua sola meta è esserci fino a sera.
Dell’umano ha tutto
fuor che la consapevolezza.
Il lieve muover dell’ago segna passaggi nei due sensi.
Nessuna condizione è stabile, nessuna scelta definitiva.
Quante altre sofferenze graveranno il fardello di quell’anima
prima che la bilancia rompa l’equilibrio!
Della Casa del Padre occupa la cantina
e la condizione lo aggrada.
Non ha specchi interiori ed il suo sguardo
riflette muri imbiancati.
Possiede trenta denari e sa come spenderli.
La storia risuona dei suoi strepiti
e il rumore rimbomba nella stanza
senza che l’eco varchi la parete.
L’ubriaco si ciba di se stesso
ed il passato gli è giustificazione
per nulla imparare.
In lui si compiace il maligno
che marca l’anima al proprio impero.
Ma la coscienza del suo stato
porterà lo spirito a ricercare nuove opportunità.
Nulla è per caso,
e i suoi denari non sono stati spesi invano.
Tra la moltitudine di ubriachi
talvolta l’umano apre una breccia,
e se ancora non geme sotto il peso di sè,
pure ne sente il giogo.
Fieri proponimenti, ampie promesse, solenni impegni,
s’infrangono davanti a
brevi attese, risultati non visti, la cura di ogni giorno.
Chiare visioni, momenti di conoscenza, prime certezze,
lasciano il passo a
ritorni dell’io, insidie del corpo, debolezze della mente.
Paziente è l’Uno,
ma questo non ti consoli,
ubriaco od umano che tu sia.
Se di non aver mai saputo, dir non potrai,
tua sarà la tromba nel dies irae.
Solo pochi rinascono già guerrieri,
nel tempo prevale l’umano.
E se i loro sentieri, già tracciati, s’incrociano,
è per altre mete.
Una stalla senza finestre è il giaciglio dell’umano,
l’acre odore della terra impregna il guscio
e nasconde la perla.
Il guerriero si è fatto cieco per vedere attraverso il muro,
ha chiuso le narici per sentire altri odori,
ha voluto esser sordo per udire.
Il guerriero non tocca, né si lascia toccare.
L’umano geme e strepita,
il guerriero è sceso in picchiata tra le nubi.
L’umano conta e accumula,
il guerriero è divenuto ricco spogliandosi.
Il guerriero e l’umano convivono,
ma non abitano la stessa casa.
Il passato dell’uno è il solo legame con il presente dell’altro.
L’umano è dentro le stanze,
il guerriero ha già varcato la soglia.
Il guerriero possiede armi che nessun umano sa costruire.
Egli ama combattere perché il suo nemico è l’inedia
ed egli ha scelto.
L’umano verrà vomitato perché l’attesa è spreco
e per quanto impegno metta a profumare l’esistenza,
ogni giorno che passa
il lezzo della morte ne impregna le carni.
Il guerriero spande luce attorno a sé
perché ad ogni scoria che toglie
attinge sempre più alla luce della perla.
La sua luce è tagliente
come lama che egli non controlla né dirige.
Entrambi hanno fame e sete,
ma il cibo e l’acqua avvelenano l’umano
rendendolo insaziabile.
Le parole di vita danno forza al guerriero
e turbano i sonni dei suoi nemici.
Chi oserà sfidare il guerriero?
Nessuno sale sul suo campo di battaglia.
E’ facile ucciderlo,
impossibile vincerlo.
Talvolta un umano incontra un guerriero.
Tanti sono gli aiuti,
tante le occasioni per squarciare il velo.
Le voci urlano nei timpani per arrivare al cuore,
le immagini trapassano lo sguardo
e s’inchiodano al cervello.
Le ferite della carne ripuliscono da vermi, terra e sterco.
Perché allora tanta ignavia resiste ancora?
Guerrieri nascosti e astuti s’insinuano nei pensieri,
tra le pieghe dei giorni,
nel vuoto di cui si riempie l’umano
e lanciano strali dolorosi e crudeli
che s’infrangono sulla terra
intaccandone appena la crosta.
Talvolta un guerriero,
nel percorrere le sue battaglie,
attraversa il sentiero di un umano e,
senza nulla perdere,
lascia che brandelli di luce scalfiscano timpani sordi
e stacchino immagini da pareti dimenticate.
Talvolta un umano studia per diventare guerriero.
Egli ha tante scuole ove andare
e tanti maestri vengono a lui.
Taluni sono guerrieri.
Che egli lo sappia poco importa
perché sentirà la lama aprirgli ferite profonde.
Urlerà vedendosi amputare le membra infette
finchè, con gioia,
rinnegherà suo padre e sua madre.
Sarà il rancore del mondo a dare il giusto voto all’allievo.
Da ogni pianta prenderà allora un frutto,
ma non dovrà fermarsi,
perché nessuna verità sarà l’ultima.
L’umano ha più di un modo per diventare guerriero,
e Ovunque è un buon posto per trasformarsi
e camminare su una Retta via,
purché vi sia silenzio.
Gianpietro
13 settembre 2008
i nostri saperi

i limiti - l’inquadramento dell’attività del volontario entro i binari fissati da una organizzazione comporta la definizione degli ambiti, delle regole e delle responsabilità. E’ facile che il nuovo volontario si faccia prendere dalla fretta di scendere in campo, sia per superare la paura del primo impatto, sia per soddisfare il proprio ego con un segno tangibile di onnipotenza. E’ da mettere in conto l’ansia di far sapere in giro che si va ad assistere un anziano o un disabile sentendosi già al livello del missionario votato agli altri. Non mi pare superfluo allora rammentare che entrare in una casa per due ore la settimana significava soprattutto restarne fuori per altre 166, impegnando così una percentuale del proprio tempo pari all’ 1,2%. Un rendimento inferiore ai tassi di mercato di qualunque strumento finanziario, anche di basso profilo.
la capacità di adattamento – il volontario teme di dover dare prova di quanto vale per poter essere accettato. Nella pratica invece si trovano ambienti molto aperti, accoglienti e che non richiedono forzature. Ciò, tuttavia, non esclude l’esperienza del rifiuto. Ogni nucleo familiare ha una storia a noi non nota e vive su equilibri talvolta molto delicati. L’unico atteggiamento che ci è concesso è di umiltà e di accettazione. Non si può inoltre escludere a priori che si manifestino delle forme di gelosia, delle ritorsioni per disponibilità negate. Possiamo sentirci rinfacciare di riversare sull’assistito le attenzioni che non prestiamo nel nostro ambito familiare. Non sempre infine la domanda formalmente espressa corrisponde all’effettivo bisogno latente. Si tratta in questo caso di limiti legati alle aspettative, talvolta divergenti, tra l’assistito ed i suoi familiari. Per il volontario l’ancoraggio al compito offre tranquillità, ma occorre avere fantasia e la disponibilità ad attuare modifiche in corso d’opera, cercando di valorizzare le potenzialità residue del nostro assistito.
la comunicazione – è possibile che aspettative e disponibilità non si incontrino ponendoci in una situazione altalenante tra il sentirsi inadeguati, o del tutto sprecati. Talvolta le aspettative non saranno immediatamente riconoscibili per la difficoltà ad esplicitarle, causa anche l’indisponibilità di strumenti di comunicazione omogenei. In questo caso occorre essere consapevoli della diversità, senza farla pesare. Non va modificato il piano della relazione, né va preteso il riscontro di un attraversamento di campo.
andare oltre il ruolo – il rapporto che si instaura presso la persona assistita tende, col tempo, a toccare le corde della familiarità, finendo con il portare il volontario su di un terreno sul quale sente di volersi addentrare, in quanto persona fatta di sentimenti e di emozioni, ma che richiede di essere gestito e coordinato dall’organizzazione che ci rappresenta e della quale, in quel momento, siamo portavoce.
gratuità – dando per scontato che il volontario non deve essere retribuito per il servizio che fornisce (lo prevede lo statuto e lo impone l’etica), va detto che la gratuità non si esaurisce nel rifiuto di un corrispettivo economico, ma include le stesse aspettative di gratificazione del volontario. Rifiutare l’assaggio di una fetta di torta, o il vasetto di marmellata fatta in casa, non significa mostrarsi disinteressati, ma solo maleducati. Occorre tuttavia porre attenzione a non trasformare certe piccole attenzioni in un fatto dovuto e continuativo, poiché si finirebbe con l’innestare un meccanismo dal quale risulterebbe poi difficile uscirne. Ma la gratuità significa soprattutto accettare di sentirsi male al termine del servizio, quando invece ci si aspettava di uscirne ricaricati. Va messa in conto la possibilità di non avere il ritorno atteso, ed anzi provare delusione e rancore verso una scelta che sembra mostrarsi inadeguata. Gratuità, significa soprattutto non aspettarsi un grazie, un elogio, una citazione.
modestia – permea tutti gli aspetti sin qui citati ed implica la capacità di donare sapendosi adattare alla situazione prospettata, con tutta l’umiltà della quale si è capaci, con la modestia di chi sa di non sapere e nella consapevolezza che non si ha né il diritto, né il titolo per imporre la propria presenza, o le proprie convinzioni. Può succedere infatti che il volontario venga visto come il tecnico dal quale ci si aspetta la soluzione dei problemi. anche di natura medica. Occorre ricordare che un nostro parere, un: “… per me farei …“, oppure: “… io la vedo così …” può essere letto come il consiglio di un esperto. Questo non è il nostro ruolo. Occorre molta cautela ed umiltà, consapevoli che durante quelle poche ore siamo degli ospiti, disponibili, ma educati, rispettosi e che sanno adattarsi alle esigenze della casa che ci accoglie.
Pur con queste attenzioni, non dobbiamo avere timore a dare, dare e dare.
“Scegli la strada che nel cuore è scritta,
seguila e in fondo poni la tua vita.
Vesti umiltà e di speranza scarpe.
E d’ogni giorno fai che sia preghiera.”
Gianpietro
Le stelle

Sono in attesa dell'esito di una biopsia che hanno fatto a mia madre, e sulla base di questo risultato si dovrà prendere una decisione molto importante. E' notte, guardo il cielo, ma nelle nostre città le stelle ormai non si vedono più da molto tempo. Cristina
10 settembre 2008
Haiku

“Tornando a vederli/i fiori di ciliegio, la sera,/son divenuti frutti.” (Yosa Buson).
Della cultura giapponese, mi piace più di tutto l’haiku, un componimento breve, di tre righe, diciassette sillabe, privo di titolo, che racchiude tutto l’amore di questa cultura per il minimalismo, l’essenzialità e la compattezza: un verso, un attimo di vita. Mi hanno chiesto di accompagnare fuori, in giardino, un ammalato sulla sedia a rotelle, mentre gli riordinano la stanza. E’ un coetaneo, con il quale giocavo da piccola, e che non ho più rivisto da allora. Ha conservato i lineamenti del viso che aveva da bambino. In mezzo c’è stata tutta una vita, di cui non so nulla, ma che questa sera mi sembra, più che mai, un soffio. Cristina
Della cultura giapponese, mi piace più di tutto l’haiku, un componimento breve, di tre righe, diciassette sillabe, privo di titolo, che racchiude tutto l’amore di questa cultura per il minimalismo, l’essenzialità e la compattezza: un verso, un attimo di vita. Mi hanno chiesto di accompagnare fuori, in giardino, un ammalato sulla sedia a rotelle, mentre gli riordinano la stanza. E’ un coetaneo, con il quale giocavo da piccola, e che non ho più rivisto da allora. Ha conservato i lineamenti del viso che aveva da bambino. In mezzo c’è stata tutta una vita, di cui non so nulla, ma che questa sera mi sembra, più che mai, un soffio. Cristina
9 settembre 2008
Viaggio a Kandahar

8 settembre 2008
I pensieri maligni

5 settembre 2008
Il senso della vita

3 settembre 2008
Erica, la speranza

2 settembre 2008
Saper dire di no

1 settembre 2008
Dialogo

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