24 dicembre 2009
La fede
22 dicembre 2009
Ancora sulla verità
10 dicembre 2009
Quale verità?
13 ottobre 2009
La responsabilità esistenziale
1 ottobre 2009
La ricerca di un volto
1 settembre 2009
Noi e il corpo degli altri
19 agosto 2009
Perché questa scelta?
11 agosto 2009
Sapersi tutelati
4 agosto 2009
Poesia
Ho trovato la poesia di cui vi parlavo ieri e la vorrei dedicare a tutti i volontari che sono in servizio, in questa torrida estate.
Spiritualità della bicicletta
(Madeleine Delbrêl)
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«Andate» ci dici, Signore, a ogni svolta del Vangelo.
Per essere con te sulla tua strada occorre andare,
anche quando la nostra pigrizia ci supplica di fermarci.
Tu ci hai scelto per essere in un equilibrio strano.
Un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi
se non in un movimento,
se non in uno slancio.
Un po' come una bicicletta che non sta su senza girare,
una bicicletta che resta abbandonata contro un muro
finché qualcuno non la inforca
per farla correre veloce sulla strada.
La condizione che ci è data è un'insicurezza vertiginosa,
universale.
Non appena cominciamo a guardarla,
la nostra vita oscilla e ci sfugge.
Noi non possiamo star dritti se non per marciare
e tuffarci in uno slancio di carità.
Tu ti rifiuti di fornirci una carta stradale.
Il nostro cammino avviene di notte.
Ogni azione da compiere di volta in volta
si illumina come le luci dei segnali.
Spesso la sola cosa garantita
è questa fatica regolare
del medesimo lavoro da fare ogni giorno,
delle medesime faccende da ricominciare,
dei medesimi difetti da correggere,
delle medesime sciocchezze da evitare.
Ma, al di là di questa garanzia,
tutto il resto è lasciato alla tua fantasia
che si scatena a suo piacimento con noi.
Cristina
3 agosto 2009
La bicicletta
Un episodio che mi racconta spesso, di questa straordinaria donna del Novecento, lei stessa assistente sociale in un piccolo paese della Francia meridionale, è quando si recò a portare un pacco di vestiti ad una famiglia povera e, aprendo il pacco, vide con grande sconcerto che conteneva calzini ed altri indumenti intimi sporchi. Che vergogna! Che umiliazione per quella famiglia! Corse fuori e andò da un fiorista a comprare il mazzo di fiori più bello che c’era e lo portò a quella famiglia che, da allora, divenne una delle sue più ferventi sostenitrici.
"Nel servizio – diceva - si tratta di imparare ad avvicinare «gente che è stata scorticata viva» e che perciò soffre solo a sfiorarla; gente che deve essere incontrata «con dolcezza». Ma che cos'è la dolcezza? Spiega: «È ciò che riesce a toccare senza ferire», e vuole che le sue assistenti siano «esseri dolci che passano senza scalfire». Quando manda le sue giovani a visitare le famiglie, le avverte che queste non hanno bisogno di essere visitate «come si ispeziona una valigia alla dogana»: bisogna andare a loro come genitori che visitano i figli, e fratelli che visitano i fratelli.
Era una donna molto simpatica, che faceva ridere, e questo era il suo grande talento. Ci sono tanti termini, da lei stessa inventati, come “la liturgia da bar”, che esprimono con chiarezza il suo pensiero, in un modo semplice, che tutti riescono a capire, ridendoci anche su. Tra quelli che trovo più efficaci, c’è la “spiritualità della bicicletta”, sul quale scrisse una poesia. Sosteneva che, per molti cattolici, la fede era come una bicicletta appoggiata al muro, che sta su, ma è immobile. Per fare il bene, invece, bisogna fare come la bicicletta, che svolge la sua funzione soltanto quando è in piedi e va. Cristina
25 luglio 2009
La scelta
23 luglio 2009
L'ultima estate
22 luglio 2009
Poche parole
21 luglio 2009
Di nuovo estate ..
2 maggio 2009
gesti e parole
17 aprile 2009
Emergenza caldo
16 aprile 2009
Nulla è impossibile
15 aprile 2009
Piccole enciclopedie
14 aprile 2009
Passeggiata in carrozzella
13 aprile 2009
Il cerchio intorno
12 aprile 2009
La fiammella
10 aprile 2009
terzo settore
7 aprile 2009
Un tozzo di pane secco
2 aprile 2009
Le parole
Adesso partecipo anche ad altri network come anobii, facebook o picasa. Gli amici con cui adesso mi incontro sul web, hanno nomi come Balenaazzurra, Giakot, Walden o Conchiglia.. Non so quasi nulla di loro, tranne le discussioni sui libri che amiamo, le riflessioni che condividiamo, i pensieri che abbiamo. Dedico, a questo tipo di comunicazione, un’ora ogni mattina, prima di andare al lavoro. E’ un’ora sottratta al sonno, alla colazione, alla preparazione mattutina. Un amico mi ha detto che faccio cose stupide: che questa, virtuale, è un tipo basso di comunicazione, perché non impegna, a fondo, come quella vera in cui ci si guarda negli occhi. Io non penso che questa comunicazione possa essere un’alternativa all’altra o tanto meno possa essere confrontata. Preferisco pensare a quello che le unisce: "le parole" che, come dice Natalia Ginzburg “quando sono adoperate per raccontare senza menzogna ciò che abbiamo visto, sofferto, vissuto, le parole quando salgono dal profondo del nostro animo, insegnano sempre qualcosa, accendono dinanzi agli occhi del prossimo una zona di realtà." Cristina
1 aprile 2009
Meditazioni di bioetica
31 marzo 2009
Il corso quotidiano dell'esistenza
In “Ritratto di un amico”, che fa parte di una raccolta di saggi che si intitola “Le piccole virtù”, Natalia Ginzburg parla della tragica morte di Cesare Pavese. “Noi stessi suoi amici, lui ci diceva, non avevamo più segreti per lui e lo annoiavamo infinitamente; e noi, mortificati d’annoiarlo, non riuscivamo a dirgli che vedevamo bene dove sbagliava: nel non volersi piegare ad amare il corso quotidiano dell’esistenza, che procede uniforme, e apparentemente senza segreti”. La coordinatrice dei volontari dell’hospice mi telefona, chiedendomi di passare a prendere alcuni quotidiani per un anziano degente della casa. Quando entro nella stanza, per consegnare i giornali, trovo il malato seduto a letto che fuma. E’ un uomo molto bello: con un grande naso aquilino e una folta criniera di capelli brizzolati che gli cadono un po’ sulla fronte. Mentre riordino la stanza, mi dice che la conversazione con i volontari è per lui la migliore delle medicine. Mi parla della sua vita di tutti i giorni, che lui dice felice, perché ha l'essenziale: l’amore e la solidarietà. Dice che vive da solo, essendo vedovo da molti anni, e dalla figlia, genero e nipoti, che ama tutti teneramente, va solo la domenica, perché è giusto che i giovani vivano la loro vita. La mattina si alza e fa colazione, poi parte per una lunga passeggiata di molti chilometri: gli piace molto camminare, perché lo ritempra nel fisico e nello spirito. Tornando a casa, passa dall’edicola a prendere i giornali, che legge in poltrona dopo il pranzo. Spesso, finisce con l’assopirsi, cullato da una nenia, che la signora del piano di sopra canta, allattando il bambino che ha avuto da pochi giorni. A metà pomeriggio, scende per curare l’orto, dove coltiva ortaggi e frutta per tutti i condomini, aiutato spesso dai bambini del vicinato, ai quali è molto affezionato, al punto che loro lo chiamano nonno. Penso a queste due vite, apparentemente così diverse: quella dello scrittore suicida e quella di questo uomo che sta morendo di cancro. Io non credo però che la vita dell’uno sia sempre stata piena di noia e la vita dell’altro sempre felice. Penso piuttosto che questi due sentimenti così contrastanti, la noia e la gioia di vivere, si alternino costantemente, nell’esistenza di ognuno: ci sono momenti, più o meno lunghi, in cui anche la vita più interessante ci viene a noia, e ci sono momenti in cui amiamo la semplicità della nostra vita ordinaria, e siamo felici per il solo fatto di esistere. Cristina
il post è inserito nel circuito del "book-club" avendo come riferimento il saggio di Naatalia Ginzburg "Ritratto di un amico". Nella colonna di sinistra del blog alla voce "links utili" ho impostato il collegamento alla versione del brano (in formato .pdf) che potete, sia leggere direttamente sul vostro PC, che stampare.
29 marzo 2009
Conflitto interiore
26 marzo 2009
Un bisogno insopprimibile di debolezza
Negli ultimi tempi ho riletto l’opera e la vita di Natalia Ginzburg, una delle mie scrittrici preferite. Ho trovato molto interessante e attuale quello che dice della sua esperienza politica. Nel 1983 venne eletta in Parlamento, dove rimase per due legislature, ma come era prevedibile, per chi la conosceva bene, fu una delusione. Nella biografia di Maja Pflug, si dice che quello che lei auspicava era “un governo aereo, leggero, inconsistente e invisibile, un governo debole”. Ma in realtà nella vita pubblica “c’è rumore, sopraffazioni … menzogne di ogni specie” e, per la debolezza, per “un governo senza armi, fondato unicamente su alcuni beni che sono cari allo spirito, come la giustizia, la verità, la libertà” non c’è posto nella politica rumorosa e sanguinaria … “e noi abbiamo invece un bisogno insopprimibile di debolezza”. Ho avuto il privilegio di conoscere, per aver frequentato le sue conferenze, una persona che ha fatto invece della sua debolezza un punto di forza, essendo impegnato nella cooperazione internazionale, ma con gravi problemi di deambulazione fin dalla nascita. In una missione in Israele, fu costretto a seguire gli altri su una sedia a rotelle, perché camminando con il bastone avrebbe rallentato la visita e fatto aspettare i suoi accompagnatori: ebbene, disse che ebbe forte la percezione che proprio da questa posizione di svantaggio, le sue parole venissero ascoltate con più attenzione. Anche la nostra attività di volontariato racchiude in sé l’atteggiamento politico, perché non può che rapportarsi e dialogare con le istituzioni, e la missione dell’incontro con la debolezza dell’altro. Per questo, dovremmo sempre tenere in mente anche le parole di Padre Christian Chessel, della chiesa di Algeria, che diceva che “accettare la nostra impotenza e la nostra povertà radicale è un invito, un forte appello a creare con gli altri dei rapporti di non-potenza; riconoscendo la mia debolezza, riesco ad accettare quella degli altri e a considerarla come un appello a 'portarla', a farla mia. Un tale atteggiamento ci trasforma e ci invita a rinunciare ad ogni pretesa nell’incontro con l’altro e ad andare a lui senza paura delle sue debolezze fisiche, morali o spirituali. Il mio sguardo sull’altro cambia e non cerco di imporgli niente. Quest’atteggiamento c’invita a non temere l’incontro con l’altro o con un avvenimento, anche 'forte', ma ad andare a lui nella forza della debolezza.” Cristina